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Blitz del Ros contro la mafia dell’Ennese, ventuno arresti all’alba

martedì 26 Marzo 2019

I carabinieri del Ros hanno eseguito, in provincia di Enna ed in altre località italiane, 21 provvedimenti cautelari per associazione di stampo mafioso, omicidio, estorsione ed altro.

Le indagini, coordinate dalla Direzione distrettuale antimafia di Caltanissetta, hanno permesso di ricostruire le dinamiche criminali relative alla famiglia mafiosa di Pietraperzia posta ai vertici di Cosa Nostra ennese.

E’ stata fatta luce, inoltre, su numerosi episodi criminosi tra cui l’omicidio di Filippo Marchì, avvenuto il 16 luglio del 2017 a Barrafranca.

Le indagini hanno consentito di svelare un accordo di collaborazione fra diversi clan criminali: infatti, un patto sarebbe stato siglato tra i boss di Pietraperzia e la cosca Ercolano-Santapaola di Catania. 

I nomi

Le ordinanze applicative della custodia cautelare in carcere riguardano: Calogero Bonfirraro, Felice Cannata, l’unico arrestato in Lombardia, Vincenzo Capizzi, Gaetano Curatolo, Filippo Giuseppe Di Calogero, Salvatore Giuseppe Di Calogero, Vincenzo Di Calogero, Giuseppe Di Marca, Gianfilippo Di Natale, Angelo Di Dio, Antonino Di Dio, Luca Marino, Giuseppe Marotta, Giovanni Monachino, Vincenzo Monachino, Simone Russo, Antonio Tomaselli, Mirko Filippo Tomasello, Giuseppe Trubia.

La misura degli arresti domiciliari ha riguardato Mario Tirrito. Per Lucia Fascetto Sivillo è scattata la misura interdittiva della sospensione dell’esercizio della professione forense.

Salvini: “Facciamo piazza pulita”

Ventuno arresti in provincia di Enna e in altre città italiane per associazione di stampo mafioso, omicidio ed estorsione. I carabinieri del Ros, coordinati dalla Dda di Caltanissetta, hanno fatto piazza pulita: grazie alle Forze dell’Ordine e agli inquirenti. Ogni giorno decine di criminali vengono sbattuti in galera: c’è chi combatte la malavita a parole e c’è chi fa i fatti. Facciamo piazza pulita“. Lo dice il ministro dell’Interno Matteo Salvini.

I particolari dell’inchiesta

L’indagine, avviata alla fine del 2015, ha ricostruito la composizione, i ruoli e gli affari della famiglia di Pietraperzia compagine che all’interno di Cosa nostra ha rivestito nel tempo un ruolo di rilievo. Emblematico al riguardo quanto sancito nella misura cautelare emessa dal gip del Tribunale di Reggio Calabria nel luglio del 2017 a carico Antonio e Rocco Santo Filippone, entrambi elementi di vertice dell’omonima cosca, direttamente collegata alla ‘Ndrina dei Piromalli, e Giuseppe Graviano in relazione alla strategia stragista di Cosa nostra dei primi anni ’90 alla quale diede il proprio contributo anche la famiglia di Pietraperzia ed in special modo Giovanni Monachino.

In particolare, attraverso i riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia, sarebbe stato stato accertato che non solo le riunioni preparatorie delle stragi si tennero nel territorio di “competenza” della cosca ma che proprio Monachino venne incaricato di garantire la “sicurezza” degli ospiti installando delle antenne per captare le conversazioni delle forze di polizia.e, data la sua caratura criminale, si occupò personalmente delle “necessita’” di Salvatore Riina. Il “rango” di famiglia egemone per la provincia sarebbe emerso in modo inequivocabile nel febbraio del 2016, quando a Catania si svolse una riunione alla quale presero parte i referenti di Cosa nostra delle diverse province della Sicilia e per Enna, in rappresentanza dei fratelli Monachino, all’epoca impossibilitati a parteciparvi, presenziarono Giuseppe Marotta e Gaetano Curatolo, che in quell’occasione manifestarono apertamente la “vicinanza” del loro gruppo alla famiglia Santapaola. Alleanza che ha trovato piena conferma nell’attività d’indagine nel corso della quale sono stati documentati più incontri tra i vertici delle due formazioni finalizzati ad accordarsi riguardo al quanto dovuto da un imprenditore ennese impegnato nei lavori di posa di cavi di fibra ottica nella citta’ etnea. Il prestigio criminale della famiglia mafiosa di Pietraperzia sarebbe stato tale che in un’occasione e’ stato registrato un incontro cui presero parte gli elementi di vertice del clan Santapaola recatisi appositamente nel comune dell’ennese per incontrare i fratelli Monachino.

Il predominio dei pietrini nella provincia avrebbe fatto riemergere storici attriti con la cosca di Barrafranca, capeggiata da Giuseppe Saitta, uomo d’onore e figlio di Salvatore Saitta ucciso negli anni ’90 nel corso di una faida che lo vedeva contrapporsi proprio alla famiglia di Pietraperzia. Tali contrasti sarebbero sfociati il 16 luglio 2017 nell’omicidio di Filippo Giuseppe Marchì, legato al Saitta essendo stato autista e uomo di fiducia del padre. Gli investigatori hanno ricostruito la fase di pianificazione dell’omicidio avvenuta all’interno di un ovile di Vincenzo Di Calogero, individuando chi avevano compiuto il sopralluogo preliminare all’azione di fuoco (Gaetano Curatolo, Angelo Di Dio, Calogero Bonfirraro) ed i mandanti, che sarebbero stati proprio i fratelli Monachino. La violenza e la spregiudicatezza sarebbero i tratti caratteristici del clan che nell’arco dell’intera indagine attraverso un gruppo di soggetti “a disposizione” (Filippo Di Calogero, Gianfilippo Di Natale, Simone Russo e Giuseppe Di Marca) diretti da Salvatore Giuseppe Di Calogero, luogotenente dei fratelli Monachino, avrebbe posto in essere numerose efferate azioni dirette da una parte a riaffermare la presenza sul territorio del clan e dall’altra a reperire il denaro necessario a finanziarsi.

Indicativa la rapina ai danni dei fratelli Stuppia da parte di Filippo Di Calogero, di Gianfilippo Di Natale e di Simone Russo, che per sottrarre ai due anziani poche centinaia di euro li hanno aggrediti a colpi di bastone non causandone la morte solo per pura casualita’. Salvatore Giuseppe Di Calogero sempre su ordine dei Monachino avrebbe dato alle fiamme l’abitazione del suocero del Sindaco di Pietraperzia (azione di cui non sono emerse le motivazioni) e avrebbe rubato con il metodo della “spaccata” la cassaforte del supermercato “Forte'” colpo che ha fruttato un bottino di 15 mila euro. Tale sarebbe stato il peso nella provincia dei fratelli Monachino che due loro affiliati, residenti a Barrafranca, Giuseppe Trubia e Mirko Filippo Tomasello, non avrebbero esitato a tentare un’estorsione ai danni di una ditta edile impegnata nei lavori di ristrutturazione della chiesa di “San Benedetto” di quel comune prima lasciando una bottiglia con all’interno della benzina e qualche giorno dopo, per mandare un messaggio ancor piu’ chiaro, due cartucce legate ad un lumino per defunti. L’estorsione non ando’ a compimento poiche’ l’imprenditore intimorito abbandono’ il cantiere.

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