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Il Mezzogiorno rischia di morire. Ecco come è possibile invertire la tendenza

domenica 26 Novembre 2017

Il Mezzogiorno d’Italia rischia davvero di morire. I giovani che hanno possibilità economiche, scapperanno verso il Nord del Paese in cerca di lavoro e maggiori fortune e la popolazione del Meridione sarà sempre più vecchia. Da anni si fanno meno figli e la questione demografica è anche questione economica. Il Mezzogiorno deve diventare la punta di diamante dell’Italia se vogliamo essere davvero competitivi con il resto dell’Europa.

Si è chiusa a Palermo, con la XXI edizione dell’Osservatorio Congiunturale della Fondazione Curella Forecasting the Future dal titolo “Il Mezzogiorno deve Morire”, la X edizione delle Giornate dell’Economia del Mezzogiorno che hanno avuto per tema “I frutti avvelenati della globalizzazione”.

Ha aperto i lavori Alessandro La Monica, presidente Diste Consulting. Dopo i saluti di Alessandro Dagnino, presidente Irfis Sicilia SpA, Fabio Giambrone, presidente GESAP SpA, Pietro Raffa, direttore Banca d’Italia sede di Palermo, Salvatore Vitale, presidente Banca Popolare Sant’Angelo, Emilio Arcuri in rappresentanza del sindaco Leoluca Orlando, si sono susseguiti gli interventi di Andrea Boltho (Magdalen College, Università di Oxford) su “Il quadro economico internazionale”;  Luca Paolazzi (direttore centro studi Confindustria Roma) su “Il quadro economico nazionale”; Antonio Golini (professore emerito, Università degli Studi di Roma Sapienza) su “Gli andamenti demografici più attuali”; Roberto Ruozi (professore emerito Università degli Studi Luigi Bocconi) su “Attività bancaria, sviluppo tecnologico e banca del territorio”.

A seguire la tavola rotonda su “Il Mezzogiorno deve morire?”, con Pietro Busetta, presidente Fondazione Curella e Università degli Studi di Palermo, Adriano Giannola (presidente Svimez), Massimo Lo Cicero (Università degli Studi di Napoli “Suor Orsola Benincasa”), Fabio Mazzola (prorettore vicario Università degli Studi di Palermo), Guido Pellegrini (Consigliere Svimez – Università degli Studi di Roma Sapienza) e Nicola Rossi (Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”).

Per Luca Paolazzi, direttore del Centro Studi di Confinustria: “L’economia in Italia in genere è molto migliorata, trascinata dall’export che ha guadagnato quote di mercato da alcuni anni a questa parte, ma anche grazie agli investimenti per i quali ci sono condizioni favorevoli e forti incentivi fiscali. Il divario con gli altri Paesi europei si è dimezzato in termini di dinamica, ma continua ad ampliarsi in termini assoluti. L’Italia diventa dunque relativamente più povera rispetto agli altri Paesi. Il recupero dell’economia italiana si deve al fatto che c’è un ricchezza di lavoro, quindi una crescita delle persone occupate superiore a quella del Pil, ma ciò non vuol dire che ci sarebbe bisogno di una maggiore occupazione. La crescita comunque è stata troppo bassa. Abbiamo 7 milioni e 700 mila persone alle quali manca il lavoro in tutto o in parte. Il fatto che il divario tra Italia e altri Paesi si allarga e che c’è bisogno di più lavoro deve spingere a fare politiche che migliorano il contesto produttivo. Nel 2015 cinquantamila giovani formati sono andati via dall’Italia, il che vale un punto del Pil, una inestimabile perdita di capitale umano. Bisogna concentrarsi in particolare su investimenti e giovani, così come ha fatto il governo italiano in questi ultimi due anni”.

Nelle dinamiche economiche un ruolo fondamentale lo ha anche la demografia e la variabile che segna nel tempo la demografia è la fecondità, perché così come ha spiegato il professore Antonio Golini, il massimo esperto di Demografia in Italia, “Per decenni l’Italia è stata la riserva demografica dell’Europa e non lo è più, così come per decenni il Mezzogiorno è stato la riserva demografica dell’Italia. Qualche anno fa abbiamo registrato il più basso numero di figli mai avuto nella storia dell’umanità, 1,19 per donna, tasso che pian piano si è ripreso grazie al numero degli immigrati, oggi siamo a 1,4 figli per donna. Questo per dire che ci troviamo davanti ad un invecchiamento fortissimo della popolazione, aumentano le classi di età anziane e senili. Bisogna dunque rivedere tutta la nostra politica migratoria. Anche perché l’Africa da qui al 2050 avrà un miliardo di persone in più concentrate nell’Africa sub sahariana. Le popolazioni, che si trovano tra due oceani e un deserto, spingeranno verso il Nord del mondo quindi lo sbocco più vicino è l’Europa e l’Italia è il primo paese da raggiungere. E’ singolare come l’Europa non abbia nessuna politica a proposito di migrazioni”.

Il professore emerito della Bocconi Roberto Ruozi ha parlato della nuova era che vivono le banche che probabilmente si accingeranno ad affrontare ancora un’altra nuova era. “Registriamo una leggera ripresa dell’indice di redditività, ma siamo in una crisi che dura da almeno sette, otto anni e mentre l’Italia guardava la crisi degli altri Paesi, poi nel 2011 è stata investita da una crisi maggiore. Tra il 2007 e il 2016 il sistema bancario in Italia ha avuto una seria flessione: le banche sono passate da 806 a 604, gli sportelli da 33.225 a 29.335 e i dipendenti sono diminuiti del 12%, da 340.000 a 300.000. E se confrontiamo l’Italia con gli altri paesi europei possiamo dire che noi abbiamo avuto meno danni”.

Per il professore Adriano Giannola, presidente dello Svimez, “la questione meridionale si sta risolvendo in questi dieci anni con la forma dell’eutanasia e dopo dieci anni di politiche di austerità si è distrutta l’economia del Mezzogiorno che ha perso 15 punti di Pil ed il Nord con questa dinamica ne ha persi 8. In questi anni di crisi le esportazioni sono andate benissimo, ma il Paese è andato malissimo. La verità è che l’Italia non ha un programma e non sa che cosa deve fare di questo Mezzogiorno, quindi chi può emigra e va verso il Nord, mentre il Sud sarà destinato ad essere sempre più vecchio. Il Nord, che vuol guardare al resto d’Europa, di questo passo sarà in Europa sempre più marginale ed invece dovrebbe guardare più al Sud e al Mediterraneo, noi siamo una grande potenza mediterranea che non sfrutta la sua rendita di posizione”.

“Il Mezzogiorno deve morire? – si è chiesto il professore Pietro Busetta, presidente della Fondazione Curella e anima delle Giornate dell’Economia del Mezzogiorno –. La sensazione è che il problema del Mezzogiorno si esaurirà per un fatto demografico, così come hanno detto sia il professore Golini che il professore Giannola, quello che sta avvenendo è pericolosissimo, perché il Mezzogiorno rischia di trascinarsi il resto del Paese nell’inferno. Bisogna assolutamente puntare sul Mezzogiorno, una area che può essere piattaforma logistica del Mediterraneo, con grandissime potenzialità, che deve essere punta di diamante del nostro Paese, se l’Italia vuole diventare competitivo rispetto a tutti gli altri paesi europei, altrimenti affonderanno assieme il Mezzogiorno e l’Italia”. 

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