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La “Buona Scuola” va a regime; o forse no

mercoledì 31 Maggio 2017

Il 17 maggio sono stati pubblicati in “Zona Cesarini” (la delega stava ormai per scadere) i decreti delegati della legge 107/2015, quella che, a chiamarla della “Buona scuola”, si rischia ormai di essere lapidati, insieme con Renzi e soci, che l’hanno inventata.

L’occasione induce a riflettere sulla scuola italiana, su quella scuola che, dall’inizio del secolo, con l’Autonomia, è diventata una realtà assai diversa da quella che l’aveva preceduta. Cogliendo l’occasione, cominciamo oggi, su questo giornale, con cadenza settimanale ad approfondire i temi strategici che i decreti hanno regolamentato, sperando di suscitare nel lettore più o meno vicino alla Scuola, curiosità, interesse e voglia di partecipare al dibattito.
Una premessa è d’obbligo. In Italia ci sono solo due questioni su cui tutti pensano di avere le giuste ricette, a prescindere da competenze vere. Tali questioni sono la Nazionale di calcio e, appunto, la Scuola.

I politici, non fanno eccezione a questa regola e quando si trovano a fare i ministri dell’Istruzione o i Presidenti del Consiglio, presumono che il modello di sistema scolastico migliore sia quello che fa loro comodo o quello coerente con le loro fisime e presunzioni. Così, per esempio, Moratti e Gelmini, con l’estemporanea inerzia dei vari ministri del PD, Fioroni, Profumo, Carrozza, Giannini hanno distrutto una delle scuole primarie più avanzate ed efficienti al mondo, mentre non sono riusciti a dare sostanza ad una scuola secondaria adeguata alle innovative domande di formazione provenienti dal mondo del lavoro e dalla società globalizzata e tecnologica. Da lì le premesse per le disastrose pagelle attribuite dalle agenzie internazionali alla nostra scuola, con punte tragiche per la scuola meridionale e per quella siciliana in particolare.

Ma torniamo alla “Buona scuola” e ai suoi otto decreti. Intanto, i decreti sarebbero dovuti essere nove e, quello che manca è il più importante. Il Governo, infatti ha lasciato cadere, la delega riguardante il nuovo Testo Unico dell’Istruzione. Non sappiamo se ciò sia dovuto a manifesta impotenza o al perverso disegno di rendere difficile la lettura delle regole che governano la scuola. Tra i tanti veri misteri irrisolti della nostra storia recente, per dirla con Dario Fo, un “Mistero Buffo”.

Giusto per dovere di chiarezza, infatti, per chi ha comprensibili difficoltà a districarsi nel linguaggio legislativo, il termine Testo Unico indica un insieme di norme riguardante una materia specifica, raccolte ordinatamente, in modo che tutti possano facilmente leggere tra le tante, quella che interessa. Va precisato che il vecchio Testo unico sull’Istruzione risale al 1994, ben 21 anni fa, e risulta perciò superato dalla sterminata quantità di leggi, decreti e circolari prodotti, generati nel tempo in ordine sparso, per competenza, da parlamenti e governi incapaci di pensare una Scuola, che per numeri e impegno istituzionale, va regolamentata con equilibrio, chiarezza e approfondita competenza. Il sistema scolastico italiano è, infatti uno dei più grandi e complessi al mondo e un approccio dilettantesco, come, per esempio, il tentativo nello scorso anno, di cambiare in corsa, i trasferimenti dei docenti non soltanto è destinato al fallimento ma provoca veri e propri disastri.

Un recente libretto, di facile lettura anche per i non addetti ai lavori, di Salvo Intravaia, giornalista di repubblica e professore di matematica in un liceo scientifico, ci informa che “ogni mattina un in Italiano su quattro si alza e va a scuola”. Ci va perché a scuola ci lavora, perché è un alunno, perché è un genitore, perché è un assistente per alunni disabili o perché lavora in un catering per mense scolastiche o per tanti altri motivi.
Quasi otto milioni di alunni, di cui centocinquantamila disabili, un milione di addetti, tra docenti, non docenti e personale distribuiti in poco più di settemila istituzioni. Poco più di cinquemila dirigenti, sottopagati come nessun altro dirigente pubblico e passibili, se sbagliano, di responsabilità di ogni tipo, che devono reggere anche le scuole prive di un capo; un esercito di precari, alcuni dei quali quasi a vita; ventiduemila edifici di cui tantissimi a rischio per alunni e professori per l’inefficienza, non solo a Sud, degli enti locali, proprietari storicamente restii a spendere senza ritorni in termini di consenso. Un Leviatano da far tremare i polsi a una classe dirigente assai più efficiente della nostra. L’attualità non lascia molto spazio all’ottimismo e la lettura attenta delle novità di questi giorni non migliora le cose. Il resto alla prossima puntata.

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