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La memoria affumicata dai fumogeni dei tifosi albanesi sul monumento ai Caduti

sabato 25 Marzo 2017

“La Partita di Calcio è andata bene. L’Italia ha vinto e ha giocato un buon calcio, e questo non guasta in uno stadio affamato di vittorie. Quello che ha infastidito spettatori e sportivi è stato il lancio, da parte dei tifosi Albanesi, dei fumogeni in campo – e pare pure contro i tifosi italiani- lancio che ha costretto alla sospensione temporanea del match. Splendida la risposta dei palermitani, che dal profondo della nebbia che si era venuta a creare allo stadio hanno risposto al fumo non con facili cori razzisti o parolacce. Ma intonando l’inno di Mameli e Novaro (Michele, poverino non lo cita nessuno ma è autore della splendida musica!). E alla fine rispondendo con il cuore alle provocazioni, piuttosto che con la “pancia”, tutto è filato liscio”.

A parlare così è Igor Gelarda, presidente del sindacato di polizia Consap, che interviene sugli inqualificabili episodi di cui si sono resi responsabili alcuni tifosi presenti a Palermo per sostenere la Nazionale albanese. Tifosi, che dentro e fuori lo stadio hanno lanciato petardi e fumogeni, rendendo l’aria irrespirabile e causando una “nebbia” che ha reso impossibile la visuale. Ieri sera, ilsicilia.it ha dato la notizia del monumento di piazza Vittorio Veneto preso di mira da questi supporters e oggi è polemica per quanto accaduto.

“Lontano di riflettori e dalle telecamere – sottolinea ancora Gelarda – è successo un altro episodio fastidioso. Nel pomeriggio, poco prima che la partita di calcio iniziasse, un centinaio di tifosi Albanesi si è posizionata sotto il nostro Monumento ai Caduti, a Piazza Vittorio Veneto, per farsi una bella foto di gruppo. E fin qui tutto a posto. Il problema è che subito dopo, proprio ai piedi della Statua hanno accesso dei fumogeni affumicando la Vittoria alata di Mario Rutelli. Spero che il Monumento non abbia subito danni per questa ragazzata, ma a prescindere dal danno che potrebbe avere subito non è giusto affumicare un simbolo altrui. Ogni anno sotto quella statua ricordiamo i caduti Italiani della prima guerra mondiale (oltre un milione di morti complessivo), uno dei momenti più tristi e tragici della nostra storia”.

“Progettato da Ernesto Basile – ricorda il poliziotto – e inaugurato nel 1911, all’inizio era la nostra Statua della Libertà, intendendo per Libertà il passaggio dalla dominazione dei Borbone a quella dei Savoia, e il “ricongiungimento della Sicilia alla Madre Patria”. Come fu chiamato, con perfetta terminologia colonialista, il basso rilievo al primo piano colpito da Antonio Ugo.  Agli inizi degli anni ’30, in pieno “splendore” Fascista ci accorgemmo che a Palermo mancava un monumento ai caduti della Prima Guerra Mondiale. Apriti cielo, chissà gli strali del Duce se se ne fosse accorto! E allora, sempre al Basile, venne commissionato l’imponente colonnato attorno, per rendere più maestoso il tutto, e apposte delle lapidi commemorative della “Vittoria” italiana nel primo conflitto mondiale. E divenne il Monumento ai Caduti e la Piazza chiamata Vittorio Veneto. Per ricordare l’ultima, violentissima, battaglia italiana (circa 100 mila morti complessivamente), della prima guerra mondiale: sul Piave e vicino la cittadina di Vittorio Veneto, appunto”.

“Ora agli amici Albanesi, vorrei dire che un monumento è un ricordo, una cosa importante. Specialmente quando ricorda dei morti per una guerra. Non fa niente se i soldati, specialmente i meridionali, vennero usati come carne da macello durante questa guerra. Questo non cambia il rispetto che si deve a questi morti, anzi forse l’aumenta.. In passato affumicazioni del genere avrebbero potuto fare sorgere incidenti diplomatici (oggi per fortuna siamo più maturi e le guerre le facciamo solo per il petrolio! ). Noi vi perdoniamo, perché con la disoccupazione che ci divora (a Palermo un essere umano su quattro non ha lavoro, con un tasso di disoccupati più alto della stessa Albania), abbiamo ben altro a cui pensare che non preservare il nostro orgoglio o il nostro amor proprio collettivo  (quello individuale lo abbiamo fortissimo)”.

“Ma se ci chiedeste scusa – conclude Igor Gelarda – noi non ci offenderemmo. E se non doveste farlo, non preoccupatevi. Spegneremo i vostri fumogeni con le nostre canzoni, perché forse non lo sapete, ma da noi si dice: Canta che ti passa!”

 

Le foto sono di Silvia Scardino

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