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Legge 194, storia di un diritto negato

lunedì 27 Febbraio 2017
Una manifestazione a favore della legge sull'aborto a Roma il 5 novembre 1975.

Due recenti notizie, una nazionale ed una locale, sono in qualche modo connesse.

La nazionale è l’iniziativa dell’Ospedale romano S. Camillo che, grazie all’input del governatore del Lazio Zingaretti, ha assunto due medici non obiettori con un concorso “blindato”, per poter garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza.

La seconda notizia, quella locale, è la condanna in primo grado ai due medici messinesi accusati di aver praticato aborti clandestini presso uno studio privato, presso il quale dirottavano anche donne che afferivano al nosocomio cittadino presso il quale essi lavoravano.

I due fatti sono intimamente collegati, in quanto il  primo è un tentativo di risposta al problema del quale il secondo è conseguenza patologica: ovvero la legge 194 è in tante parti di Italia largamente inapplicata a causa dell’eccessivo numero di medici obiettori.

Una buona legge la 194, nata nel 1978 dallo sforzo del legislatore di equilibrare tutti i diritti in gioco: il diritto alla vita e alla salute fisica e psichica della donna, la tutela dei diritti del concepito e il diritto all’obiezione di coscienza dell’operatore sanitario.

Come sottolinea Marilisa D’Amico, nel pamphlet “Aborto ieri e oggi”, di Antonella Cocchiara e Giovanna Cardile  “la legge 194 adotta un modello fondato sulla libertà di scelta della donna, ma anche sul compito dello Stato nella prevenzione e nella consulenza”. 

Ma se a distanza di più di 30 anni dalla sua emanazione, vi sono ancora delle donne costrette a ricorrere alla pratica infame dell’aborto clandestino, come successo di recente nella nostra città, può la legge 194 ritenersi pienamente applicata? Assolutamente no.

E la prima vittima di questa sconfitta è la donna: abortire è infatti una delle scelte più difficili che una donna possa fare. Interrompere una gravidanza non è in nessun caso una decisione facile priva di conseguenze emotive.

E avviene spesso che, una volta fatta questa scelta così sofferta, si scopra che nella propria città o addirittura provincia, se non regione, i professionisti più qualificati ad aiutare a intraprendere questo difficile cammino si rifiutino di intervenire per motivazioni  etico-religiose.

Come è, quindi, evidente il nodo cruciale risiede nel conflitto tra due diritti, quello del sanitario all’obiezione di coscienza e quello della donna all’interruzione di gravidanza.

Entrambi i diritti sono riconosciuti dalla norma, dovere di uno Stato civile è quello di armonizzarli.

Ma allo stato delle cose, purtroppo non è così: secondo una relazione del ministero della Salute dell’ottobre 2014, in Italia ben 7 ginecologi su 10 si rifiutano di effettuare interventi di aborto per motivi etici. Rispetto al 2005, quasi il 12% in più di medici ha optato per l’obiezione di coscienza.

Con picchi del 90% nel Mezzogiorno (l’87,6% in Sicilia).

Meno accentuata, ma sempre molto alta la percentuale di anestesisti obiettori che, in media, è pari al 49,3%. Anche in questo caso i valori più elevati si osservano al Sud, con un massimo del 79,2% in Sicilia; il personale infermieristico obiettore raggiunge valori intorno al 46,6% con un massimo di 89,9% in Molise e 85,2% in Sicilia.

In pratica su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia, solo 62 effettuano interruzioni volontarie di gravidanza. Cioè solo il 65,5% del totale, ed alcune parti del nostro paese rimangono quasi completamente scoperte.

Se si vanno a leggere i dati Istat si apprende che nel 2012,  21mila donne su 100mila si sono dovute rivolgere a strutture di altre province. Di queste il 40% è stata costretta a cambiare addirittura regione.

Mentre in altri stati europei la situazione è più felice.  

In Francia tutti gli ospedali pubblici hanno l’obbligo per legge di rendere disponibili i servizi di interruzione della gravidanza.

In Inghilterra è obiettore solo il 10% dei medici ed esistono centri di prenotazione aperti 24 ore su 24 e 7 giorni su 7.

In Svezia il diritto all’obiezione di coscienza non esiste proprio. Gli specializzandi in ginecologia e ostetricia che pensano che l’aborto sia una cosa sbagliata vengono indirizzati verso altre specializzazioni.

Tuttavia l’obiezione di coscienza è un diritto riconosciuto, ed è giusto che la legge 194/78, nel garantire tale diritto, non preveda “processi alle intenzioni” dei dichiaranti, ma è responsabilità dello Stato far sì che non si traduca nella soppressione di altri diritti di pari dignità, come il diritto alla salute fisica e psichica della donna.

Al riguardo il Comitato Europeo dei Diritti Sociali ha censurato l’Italia in seguito ad un reclamo collettivo, in quanto l’eccessivo numero di obiettori ostacola il diritto garantito dalla 194, alla interruzione della gravidanza.

Ed il Consiglio D’Europa ha condannato l’Italia, in seguito ad una iniziativa della CGIL,  per la discriminazione alla quale sono sottoposti i pochi medici e operatori sanitari non obiettori, i quali sono sottoposti ad un eccessivo carico di lavoro rispetto ai loro colleghi e oltretutto rischiano di essere discriminati, divenendo spesso oggetto di critiche e giudizi etico-morali.

Il principale limite della legge 194, come ben spiega Liana Daher, è “che, pur prevedendo all’art. 9 l’obbligo per strutture ospedaliere e regioni di assicurare l’accesso alla pratica dell’IVG, non indica le misure concrete che si devono osservare per garantire una adeguata presenza di personale non obiettore in tutte le strutture ospedaliere”

La strada intrapresa dall’Ospedale S.Camillo di Roma è sicuramente utile, ed è bene che anche altri Ospedali la imitino, ma è una soluzione precaria, legata alle buone intenzioni dei Direttori generali e sotto la spada di Damocle di ricorsi al TAR o alle corti di giustizia europea.

La  soluzione al problema passa da una iniziativa legislativa che garantisca il pieno funzionamento della legge. Questa è l’unica strada.

Perché, parafrasando quanto scrive Giovanna Cardile nel libro “Aborto ieri e oggi” “se non funziona la legge sull’aborto, rimane solo l’aborto” ed i fenomeni di speculazione, nella modalità della pratica dell’aborto clandestino come quello salito alla ribalta della cronaca della nostra città.

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