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Lo sfogo segreto di Borsellino: “Rinunciai alla mia scorta perché non c’erano volanti” | AUDIO

martedì 16 Luglio 2019
Borsellino

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È un audio particolarmente intenso che racconta l’audizione dell’11 dicembre 1986, a Trapani, di Paolo Borsellino. Il giudice fu audito dalla Commissione Parlamentare Antimafia (IX legislatura) nella sua qualità di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Marsala, ufficio nel quale si era insediato da soli tre mesi. Lo sfogo è amaro fa trasparire le difficoltà dell’epoca.

ASCOLTA L’AUDIO IN BASSO:

«A un certo punto si fece tardi, io ero molto stanco e mi venne per stanchezza in mente una proposta: dimezzatemi la scorta per fare la “volante”. Infatti a Marsala, la quinta città della Sicilia, con centomila abitanti circa, considerando le borgate, con 106 contrade, non c’era una “volante”, né della polizia, né dei carabinieri, che potesse assicurare l’intero arco delle 24 ore.

Mi ricordavo che una volta Buscetta aveva detto che gli era stato presentato un capomafia di Bagheria mentre egli passeggiava in Via Ruggero Settimo; nel mio scrupolo io gli avevo contestato: “Ma come passeggiava in Via Ruggero Settimo, se lei era latitante?”. “No, Signor giudice perché nel nostro ambiente si sapeva che tra le due le quattro c’è la smonta, volanti non ce n’erano, conseguentemente noi latitanti scendiamo a fare la passeggiata. (…) Lei non crede che qui sentiamo una libertà di movimento che supera i limiti di ogni possibile immaginazione?” – replicò Buscetta». 

Borsellino racconta di un arresto importante grazie alla sua scorta: «Io quel giorno, contravvenendo forse ad un obbligo, me ne ero andato a Palermo e la mia scorta era stata adibita al controllo sul territorio. La mia scorta ovviamente era stata dimezzata. Io pretesi ciò: non me ne faccio niente della scorta perché ho la macchina blindata. Era inutile che mi mettessero a disposizione quattro uomini; allora ho detto: “Mettetemene a disposizione due, così gli altri vanno a far e gli altri servizi!”. (…) Questa è la situazione, signori». 

E poi l’amaro sfogo: «È chiaro che a Palermo io e gli altri magistrati, come sapete, abbiamo lavorato in mezzo a tante difficoltà. È chiaro che le difficoltà non debbono far demordere; però quando le difficoltà significano andare a sbattere spesso e volentieri contro lo zero assoluto, allora forse queste riunioni diventano un poco inutili. (…) Noi, Presidente, sentiamo queste riunioni come la possibilità di sfogarci, in modo che qualcuno ci senta, affinché tutte queste cose un giorno si possano assommare e affinché un bel giorno le istituzioni dello Stato si trovino d’accordo…»

 

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