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Messina, abbattuto palazzo del ‘700: Sgarbi si adira, la soprintendenza chiarisce

giovedì 11 Gennaio 2018

Un palazzo di fine 700 che viene abbattuto, un assessore regionale che si adira e un soprintendente sotto accusa senza che in realtà è estraneo ai fatti. La storia è quella dei ruderi di un palazzo d’epoca abbattuto nelle scorse ore a Messina in Largo Avignone. L’immobile, sito per l’esattezza tra la via Cesare Battisti e la Via degli Orti, era una testimonianza dell’architettura civile messinese successiva al sisma del 1783, riuscito a resistere al terremoto del 1908 e alle bombe della Seconda Guerra mondiale ma che adesso (per quel che ne rimaneva) è stato buttato giù. Una ruspa ha proceduto alla demolizione di una parte dell’edificio, come disposto dal giudice a seguito di un contenzioso risalente agli anni Ottanta, lasciando intatto solo una parte del primo piano. Il contenzioso giudiziario è scaturito a suo tempo tra la società che possedeva l’area adiacente e ne richiedeva l’abbattimento per questioni di sicurezza, ed i proprietari che si opponevano. E nella giornata di mercoledì è scattata l’ira dell’Assessore ai Beni Culturali Vittorio Sgarbi, che ha messo nel mirino il Soprintendente di Messina, Orazio Micali, reo a suo dire di aver “consentito l’abbattimento di un palazzo a Messina del Settecento perché non lo ha vincolato”. Sgarbi ha poi evidenziato il proposito di volerlo “cacciare” e di aver inviato degli ispettori “per andare a indagare”. “Messina è una città che è stata terremotata nel 1909, è assurdo buttar giù un edificio del Settecento. Questo significa che ci sono mille problemi su cui occorre una grande attenzione perché il patrimonio siciliano sono solo sia valorizzato per quello che è ma si conservi nella misura in cui c’è, evitando speculazioni”, ha aggiunto Sgarbi.

Sgarbi ha chiarito, in un secondo momento, che non è stato adottato alcun provvedimento sul soprintendente, ribadendo però che è sua intenzione “farlo”. E così è scattata la verifica degli atti, dalla quale in realtà si evince che il parere positivo all’abbattimento dell’edificio risale al 2013 quando in carica non c’era l’attuale soprintendente Micali, nominato invece nel maggio 2016 per guidare le Belle Arti di Messina. Il periodo sul quale si sono accessi i riflettori, quello cioè del 2013, concerne una fase in cui l’ente di Viale Boccetta era retto da un altro soprintendente. Sgarbi, insomma, sul “caso Micali” pare proprio sia scivolato su una “buccia di banana” accusando di troppa permissività lo stesso soprintendente che, per altro, era invece stato discusso per il presunto eccesso di inflessibilità mostrato sul caso dell’elipista di Taormina, dove Micali ha chiesto lo smontaggio della pista realizzata in occasione del G7 ritenendola “opera abusiva” sino a contrapporsi addirittura al Governo italiano. Sulla storia di Largo Avignone, a quanto risulta, Micali ha intimato la sospensione dei lavori e ha intrapreso con i suoi uffici la relativa verifica dell’accaduto. Nessuna autorizzazione rilasciata, immediato stop ai lavori già ordinato e consegna degli atti alla Procura della Repubblica: questo il contrattacco dei vertici delle Belle Arti sul caso dell’abbattimento dell’edificio settecentesco.

Intanto l’assessore comunale Sergio De Cola, a sua volta, ha affermato che il Dipartimento Urbanistica del Comune non ha mai autorizzato alcun abbattimento. La querelle giudiziaria tra l’impresa che vorrebbe edificare nell’area e gli enti preposti risale, come detto, a parecchi anni fa e i passaggi più recenti sono del 2013, quando la sovrintendenza diede parere positivo alla costruzione del grattacielo, l’Amministrazione si disse contraria e l’impresa fece ricorso al Tar. In quel caso il Comune non si è poi presentato in giudizio davanti al tribunale amministrativo, che accolse quindi l’istanza dell’impresa che chiedeva la sospensione del divieto di demolizione per poter avviare il cantiere.

Rimane, in definitiva, ancora avvolta da diversi aspetti da chiarire la vicenda di Largo Avignone, quartiere che racchiude dieci secoli di storia in pochi metri quadrati. A dimostrarlo, le tre tipologie di tombe, corredi funerari e utensili vari, sepolti in zona dalla pianura alluvionale del fiume Camaro e ritrovati a neanche qualche metro, sotto una palazzina demolita nei primi anni Novanta. Lì, gli scavi archeologici avevano restituito una parte della necropoli che dal V secolo dei primo millennio arriva al IV avanti Cristo. Gli oggetti di interesse archeologico verranno, in ogni caso, preservati come da disposizione della Soprintendenza che ha già avviato un accertamento sullo stato della demolizione.

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