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Padre Rosario da Partanna, un monaco mefistofelico

venerdì 15 Febbraio 2019

In quello che potremmo definire il martirologio degli eroi risorgimentali trova spazio anche un frate cappuccino, tale Antonio Russo, meglio noto come padre Rosario da Partanna. Uomo di cultura raffinata che, grazie a Saverio Friscia, fu conquistato dall’idea unitaria e per questo motivo aderì al Comitato Centrale per la Sicilia, una delle tante organizzazioni sovversive che avrebbero dovuto preparare la insurrezione contro il regime dispotico borbonico.

Per queste sue attività clandestine, il 2 marzo del 1853 il frate fu arrestato a Sciacca mentre predicava per la Quaresima e da lì tradotto al Castello a mare dove rimase prigioniero per oltre tre anni.

Dunque, in poche parole, un eroe carico di ardente spirito libertario, al quale la pubblica amministrazione, riconoscente, per i suoi meriti addirittura gli intestò una strada, proprio la via Rosario da Partanna nella borgata omonima che lo vide protagonista delle sue memorabili gesta.

Questa la gloriosa biografia ufficiale di questo frate che tanti onori ricevette in vita, la realtà però è ben diversa. “Un monaco astuto, piuttosto colto, dai modi affabili, all’aspetto mansueto, ha dato a quella associazione un carattere religioso. Per non destare punto i sospetti delle autorità, ed eluderne la sorveglianza, egli ha formato un’associazione cui ha posto il titolo di Società dei terziari francescani, nella chiesa degli ex liguorini dell’Uditore. Essa è composta da 28 soci e più, oltre al presidente, ed ha più di tre protettori”. La società di cui si parla in questo brano di documento, riportato da Umberto Santino, è la Mafia dell’Uditore di cui, appunto, il Russo – meglio conosciuto come il frate “garibaldino”- si era addirittura fatto promotore e protettore.

Sotto la tonaca del mite frate si nascondeva dunque un mefistofelico personaggio che, attraverso la copertura di una società per l’amministrazione e la custodia dei fondi, non si faceva scrupolo di dare avallo a omicidi e ad ogni genere di estorsioni e grassazioni.

Infatti padre Rosario da Partanna, vantando il suo pedigree antiborbonico, ma pare che tale in realtà non fosse visto che correvano voci che invece fosse un collaborazionista sotto copertura, ottenne benefici e guarentigie anche dall’amministrazione unitaria. A nulla infatti sarebbero valsi le reprimende e il tentativo del buon arcivescovo Giovanni Battista Naselli di mettere fine allo scandalo, tentando di sostituirlo nella chiesa dell’Uditore che lui reggeva, dopo l’espulsione dei frati liguorini. Il personaggio era troppo potente perché, come si è scritto, godeva di grandi coperture nell’amministrazione insediatasi dopo l’unità; per lui garantivano persone “altolocate” come si diceva allora per indicare la gente che contava.

E così, da quella roccaforte dell’Uditore, il frate mafioso continuò a gestire, come testimonia il rapporto del dott. Galati sul capomafia Antonino Giammona, fino alla sua morte, che lo colse al finire del secolo nel maggio del 1899, i suoi loschi affari e a coltivare le sue torbide amicizie mafiose.

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