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Peppino, io in questa casa ci sono già stato

venerdì 24 Marzo 2017
"L'incisore" di Leonardo Castellani

Carissimi,

Erano seduti accanto in poltrona guardando il panorama dietro la grande superficie vetrata, quando uno dei due amici, si volto verso l’altro e disse: “Peppino tu mi devi dare una mano d’aiuto a vendere meglio ciò che voglio fare e quindi devi inventarti qualcosa”.

Peppino era un uomo di grandi qualità e grandi idee e soprattutto era fedele. Padre di famiglia premuroso e sempre molto preoccupato per i suoi cari (la moglie e ben sette bambini), aveva una spiccata predilezione per la farmacologia e a ogni piccolo problema di salute era lì a chiedere alla moglie: “Le hai date le pillole ai bambini?

Quindi Peppino investito da questo grande compito pensò e suggerì al suo “amico incisore” che non era importante ciò che si facesse ma era importante ciò che la gente avrebbe dovuto credere e quindi la soluzione di tutto non era raccontare la verità, ma raccontare una verità credibile e che tornasse comoda.

Così suggerì anche il modo di vestire e come presentarsi al pubblico, perché no, in una bella divisa militare che fa sempre elegante e autorevole e con la immancabile coreografia a codazzo dei cortigiani.

Credetemi, funzionò e come, tanto che da quel momento si susseguirono grandi sfilate con bandiere ai lati delle strade e la gente ad applaudire la macchina spesso scoperta “dell’incisore”.

Fu così che “all’incisore” venne in mente di creare una “macchina per il popolo” e basto una cerimonia fatta davanti ad un modello in scala di quest’automobile, spiegata dall’ingegnere costruttore alla presenza di tutto il codazzo che con la testa o con espressioni di meraviglia faceva finta di capire, anche se non aveva la benché minima idea di ciò che stava osservando (e in qualche caso neanche sapeva dove fosse) che questa foto fece il giro del mondo e in pochi giorni giunsero molteplici prenotazioni di vendita.

C’era poco da dire, questa tecnica di comunicazione funzionava e “Peppino era un genio”.

Si susseguirono una serie d’inaugurazioni e incontri a seguito di lunghe attese che crearono grandi consensi e “all’incisore” bastò parlare, su un canovaccio rigidamente scritto, di cose che la gente voleva sentire dire che il popolo dimenticò i propri guai e non distinse più il vero dal falso, si autoconvinse di essere una grande nazione e di avere una “grande guida”, ma soprattutto di avere ragione e non vi fu più il dissenso o meglio in mezzo a tanto frastuono della folla, inneggiante e applaudente con rigida cadenza, nessuno si accorse se qualcuno qua e la spariva o peggio, era invitato a concentrarsi.

Peppino, storpio, sognava una razza perfetta e combatteva “l’arte degenerata” e così faceva freddo e tanti libri bruciarono in falò, ma gli studenti cantavano e continuarono a cantare fintanto che erano loro con le loro insegne e con un bagaglio di notizie e di un credo artato a visitare gli altri paesi in invasivi viaggi organizzati.

E “il lavoro rese liberi” con un andare e venire di vagoni ferroviari, ma la gente era ormai troppo distratta e neanche voleva accorgersi che quei soggetti festanti che suonavano il violino erano soltanto dipinti nei finestrini.

Ma dopo tanti inverni, giunse una primavera e tutti si accorsero che le notizie di Peppino non bastavano più e i ragazzi nella migliore delle ipotesi tornarono a casa con tanti dubbi e nessuna certezza e a quel punto furono gli altri ragazzi a far visita loro, per l’ultima volta.

L’incisore” preso atto della sua sconfitta si tolse di mezzo e appena un giorno dopo, il primo maggio (guarda fatale coincidenza) dopo tanto lavoro, Peppino dopo essersi preso cura dei suoi sette figli, assicuratosi che questi avessero ricevuto le ultime pillole, insieme alla moglie e alla sua “propaganda”, si addormento, lasciando a noi la speranza che a nessuna venga in mente di risvegliarli.

Un abbraccio, Epruno.

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