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Placido Rizzotto costruttore di democrazia

domenica 10 Marzo 2019

Placido Rizzotto è ricordato come un importante protagonista della lotta contadina, il sindacalista che lottò in difesa della gente più povera e indifesa. Egli però va ricordato principalmente come un costruttore di democrazia.

La lotta che intraprende a partire dalla sua Corleone, infatti, non ha solo una valenza sociale o sindacale ma essenzialmente politica.

Elio SanfilippoEgli partecipò alla lotta di liberazione dal nazifascismo, alla Resistenza e, tornato a Corleone, vede che vi è da combattere un’altra guerra di liberazione, quella contro il latifondo e l’oppressione della mafia e degli agrari. Una continuazione di quella lotta di liberazione che si era affermata al nord e che la Sicilia non aveva vissuto.

Egli ha la consapevolezza che se non si vince questa seconda guerra non vi potrà essere futuro non solo per la Sicilia, ma per l’Italia.

Si tratta, infatti, di decidere, dopo la riconquistata libertà, quali caratteri deve assumere il nuovo Stato democratico, quale identità, quali contenuti sociali.

In sostanza quale repubblica, quale democrazia?  In questo lo guida la carta costituzionale: la repubblica deve essere antifascista e fondatala lavoro.

Per questo era necessario promuovere l’emancipazione delle classi subalterne e costruire un forte movimento sindacale aderente al territorio attraverso il ruolo delle Camere del lavoro e forti istituzioni sociali e associative come la Feder terra e la lega delle cooperative. Ai partiti popolari spettava poi il compito di risolvere la questione meridionale all’interno del rinnovamento del nuovo Stato unitario.

Infine la lotta alla mafia non solo come espressione di criminalità ma di un potere conservatore e reazionario che difende l’ordine sociale esistente, prevaricando i ceti più deboli e insidiando la sovranità delle istituzioni democratiche.

Nel nuovo sistema democratico non era, infatti, più tollerabile una classe dominante di agrari che disponesse d’immense proprietà terriere in parte abbandonate, che manteneva una borghesia parassitaria, “compradora” e campieri mafiosi, che perseguitavano i sindacati, ne eliminavano fisicamente i dirigenti e non riconoscevano alcun diritto alle classi subalterne.

La lotta per la terra e la riforma agraria significavano, quindi, per Rizzotto trasferire in Sicilia una condizione di modernità nei rapporti di produzione. Un passaggio fondamentale per la democrazia poiché emergeva drammaticamente il contrasto tra il sistema democratico conquistato e adottato e i rapporti di  produzione di tipo feudale ancora esistenti.

Sembra quasi di vederlo Placido con in mano la legge Gullo che spiega ai contadini il cambiamento epocale che per loro rappresentava e questi che lo guardano stupiti perfino diffidenti, “quando mai lo Stato si è occupato di loro e ha fatto perfino leggi a loro favore?” E dall’altra parte i mafiosi e i gabellotti che con arroganza replicavano con dileggio: Ma cu è stu Gullu? A ribadire così che in Sicilia non contava la legge dello Stato, ma la loro legge!

Placido Rizzotto non farà in tempo a vedere i risultati di questo suo impegno perché barbaramente trucidato dalla mafia.

La sua eliminazione non fu solo il tentativo di bloccare la poderosa crescita del movimento contadino ma era parte di un disegno più generale di carattere reazionario per distruggere la fragile democrazia appena nata e a cui la mafia prontamente si prestò. Portella della Ginestra e tutti i morti che seguiranno erano tasselli di quella strategia della tensione che caratterizzerà tutta la storia d’Italia dal dopoguerra in poi.

Sulle indagini che seguirono il suo assassinio, è interessante quello che scrive in modo documentato Emanuele Macaluso.

La morte di Rizzotto precede le elezioni del 18 aprile del 1948. Il tre aprile polizia e carabinieri presentano un rapporto in cui si accusa dell’omicidio Luciano Liggio in concorso con altri. Viene spiegato anche il movente: per la sua attività sindacale, perché esponente del movimento contadino diretto all’occupazione delle terre.

Il 22 maggio, dopo le elezioni del 18 aprile, i carabinieri cambiano versione accusando i familiari di Rizzotto di attribuire al delitto un movente politico per avere dal partito socialista “aiuti e soccorsi finanziari”.

Dice Macaluso che anche Carlo Albero Dalla Chiesa nel suo rapporto del dicante 1949 escluderà come movente il fattore politico.

Il colonnello De Luca, per intenderci quello del depistaggio con la grottesca messinscena della morte di Salvatore Giuliano andrà oltre: <<L’identificazione e l’arresto degli autori dell’omicidio ha smascherato e demolito l’assunto creato al fine politico speculativo intorno alla tragica scomparsa avvenuta (passeranno,infatti, più di cinquanta anni per ritrovare i resti del corpo di Rizzotto) per vendetta personale e preminenti interessi personali>>.

Un colossale depistaggio, cambiando completamente la prima e veritiera versione, in ossequio al nuovo clima politico e ai nuovi equilibri internazionali e far prevalere la Ragion di Stato.

Placido Rizzotto va dunque degnamente ricordato e annoverato tra i costruttori della democrazia italiana, un padre costituente, non perché partecipò alla stesura della Costituzione ma perché con la sua azione diede a quelle che prima erano considerate plebi informi, la coscienza di essere cittadini, diede loro sicurezza e dignità aiutandoli a conquistare nuovi spazi sociali e morali fino a quel momento sempre negati.

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