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Prima dell’Unità d’Italia, quando la Sicilia era una potenza industriale

mercoledì 23 Ottobre 2019

Il Regno delle Due Sicilie, al tempo dell’Esposizione Universale parigina del 1855, era uno degli Stati più industrializzati d’Europa, collocandosi in terza posizione, dopo Gran Bretagna e Francia, per sviluppo industriale. Non è un caso, infatti, che il primo tratto ferroviario realizzato sul suolo italiano fu la Napoli- Portici, inaugurata il 3 Ottobre 1831. E non è neppure un caso che la flotta borbonica da guerra fosse la seconda a livello continentale, dopo quella britannica.

A questo punto, la domanda sorge spontanea: qual era la situazione industriale siciliana nella prima metà del XIX secolo in Sicilia? Ebbene, il sistema industriale siciliano stava muovendo i suoi primi passi, un sistema, sicuramente non solido, bisognoso di ulteriori e più estesi investimenti ma comunque, nell’arco di un cinquantennio, i risultati raggiunti furono più che considerevoli. Infatti, in quegli anni, lo slancio industriale e la fiducia nel consolidamento di un sistema che stava nascendo furono innegabili.

I settori in cui le aziende siciliane eccellevano erano molteplici ma sicuramente la punta di diamante dell’economia siciliana fu l’industria cantieristica e armatoriale. Quest’ultima permise all’Isola di avere un’ampia marineria, permettendo lo sviluppo di reti commerciali marittime sempre più numerose e intense nei traffici, anche al di fuori del Mediterraneo: già nel 1818 il brigantino Oreto, di proprietà del barone Riso, esportava agrumi, zolfo e manna negli Stati Uniti. E, tra il 1824 e il 1827, il barone Gabriele Chiaramonte Bordonaro finanziò la costruzione del brigantino “Gabriele”e del brigantino “Antonietta” per solcare le rotte commerciali verso Russia e Usa.

Ma la svolta per la cantieristica siciliana avvenne nel 1840, quandoVincenzo Florio, Benjamin Ingham, Chiaramonte Bordonaro e Gaetano Fiammingo diedero vita alla “Società dei battelli a vapore siciliani”, la prima Compagnia di navigazione a vapore del mondo che garantiva i collegamenti tra Palermo, Napoli, Marsiglia. Nel 1847 verrà fondata la “Impresa I. & V. Florio”, una nuova società per la navigazione a vapore, la quale nel 1858 otterrà l’appalto dei servizi postali settimanali tra la Sicilia e Napoli. Nel frattempo, nella parte orientale dell’Isola nacque una fiorente industria cantieristica d’imbarcazioni a vela di medio tonnellaggio.

L’industria metalmeccanica, strettamente connessa all’attività armatoriale vide protagonista, anche in questo campo, la famiglia Florio che rilevò nel 1844 un opificio metalmeccanico a Palermo, nei pressi del porto (oggi via Fonderia Oretea).  La fabbrica produrrà grandi motori adatti per i natanti. Pertanto, da quanto detto, non c’è da stupirsi se nel 1860, il Regno delle Due Sicilie poteva vantare la prima flotta mercantile e militare d’Italia.

Legata all’intensa attività commerciale marittima fu lo sviluppo del settore assicurativo, favorito anche dalla presenza di molti mercanti inglesi, soprattutto a Messina, dove, in pochi anni, nacquero l’”Amica società di assicurazioni” la “Anglo- Sicula” e la “Nuova Compagnia di assicurazioni”. Nel 1813, l’inglese Abraham Gibbs, diede vita alla prima compagnia di assicurazioni palermitana che però avrà vita breve, a causa del suicidio del suo fondatore.

Quello enologico fu, e d’altra parte continua ad essere, un settore d’eccellenza dell’industria siciliana. A cavallo tra XVIII e XIX secolo sorsero diversi stabilimenti industriali di un vino liquoroso, simile al Madera, tanto amato dagli inglesi, cioè il Marsala. Diversi imprenditori britannici crederanno nelle potenzialità del nuovo vino investendone i propri capitali.Ricordiamo i Woodhouse, gli Hopps, i Whitaker, Joseph Payne e Matthew Clarkson, solo per fare alcuni esempi. Un vino destinato a diventare leggenda e ad imporsi sui mercati di mezzo mondo. Nel frattempo, Giuseppe Alliata, principe di Villafranca, duca di Salaparuta, fondò nel 1824 la “Vini Corvo Duca di Salaparuta”, producendo, per primo, vini bianchi e rossi dai vitigni del feudo Corvo, ed imbottigliando “alla francese”, cioè, non superando la gradazione di 12°.

Infine, come non ricordare la vivace industria tessile. Paolo Geraci, nel 1806, aprì a Catania uno stabilimento dove venivano effettuate tutte le fasi di lavorazione della seta,per le quali erano impegnati centinaia di operai. Tra il 1810 e il 1839, decine saranno le imprese esportatrici di ceneri di soda nel nord Europa, dove, essa, veniva utilizzata per la concia delle pelli. Decine saranno le imprese nel messinese dedite alla concia delle pelli “all’inglese” con centinaia di addetti.Molti furono gli investitori inglesi che a Messina impiantarono aziende per la lavorazione del cotone e i fratelli Ruggieri arriveranno ad impiegare circa 300 tessitrici nel proprio stabilimento. Michele e Vito Adamo, aprirono a Trapani una filanda di cotone con macchine a vapore.

Naturalmente, le imprese industriali ricordate rappresentano solo un frammento della variegata realtà isolana. Inoltre, la Sicilia si distinse in tanti altri campi produttivi, dal settore alimentare, a quello chimico, dalle zolfare alle cartiere di Castelbuono e Comiso.

In queste brevi e veloci pennellate di parole, il dipinto dinanzi ai nostri occhi, certamente, appare dinamico. E in movimento, in divenire era la Sicilia di quegli anni, fiduciosa nella realizzazione del sogno di un’industrializzazione che potesse diventare strutturale, radicata e diffusa e non legata soltanto alle iniziative dei singoli. Propositi, sogni, speranze e sentimenti fortemente ridimensionati dalla crescente difficoltà nel competere con la concorrenza straniera, soprattutto americana, e dall’atteggiamento assunto dai governi del nuovo stato unitario italiano nei confronti del meridione.

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