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Un avvocato messaggero del boss, quattro arresti per la ricostruzione del clan Rinzivillo

giovedì 19 Settembre 2019
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La Polizia di Caltanissetta ha eseguito 4 ordinanze di misura cautelare in carcere, emesse dal Gip del Tribunale di Caltanissetta su richiesta della locale Direzione Distrettuale Antimafia presso la Procura della Repubblica, per associazione mafiosa aggravata per aver fatto parte del clan Rinzivillo.

L’attività investigativa, conclusasi con gli arresti di oggi, costituisce una costola dell’operazione ‘Extra fines’ che portò all’arresto nel 2017 di 37 affiliati al clan Rinzivillo. L’indagine fece luce sull’ascesa, nella famiglia di cosa nostra gelese, del boss Rinzivillo il quale, approfittando della carcerazione dei suoi fratelli e dell’assenza sul territorio di uomini in grado di contrastarne il carisma, riorganizzò il clan facendo leva sia su figure tradizionalmente appartenenti ad esso sia su figure nuove ed emergenti che si erano messe a sua disposizione per assicurare il mantenimento in vita del clan.

Nell’ambito dell’indagine, condotta dai poliziotti della Squadra Mobile di Caltanissetta con l’ausilio della Squadra Mobile di Parma, è emersa la figura di un avvocato del Foro di Gela, quale uomo di fiducia del boss gelese Rinzivillo sin dal 2016 (durante il periodo delle indagini poi confluite nell’Operazione Extra Fines) quando lo aveva fatto contattare da un suo affiliato.

L’avvocato costituiva la longa manus del Rinzivillo negli affari intessuti dal boss gelese con altri appartenenti al clan Rinzivillo. Infatti Rinzivillo impartiva al legale ordini precisi che andavano ben oltre gli incarichi forensi. La disponibilità del legale nei confronti del boss gelese si manifestava anche dopo la carcerazione del boss: infatti, è proprio al suo avvocato che Rinzivillo, approfittando del suo status di insospettabile legale, affidava il compito di fare uscire i suoi ordini per altri esponenti della consorteria mafiosa, ancora liberi sul territorio.

Nel corso dell’indagine è stato anche rilevato che l’avvocato faceva pervenire al boss messaggi dai sodali liberi, attraverso l’esibizione di fogli manoscritti durante i colloqui in carcere: una modalità ingegnosa con la quale l’avvocato gelese pensava di eludere eventuali intercettazioni ambientali a suo carico.

 

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