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Villa Santa Teresa, una vicenda singolare che lascia ancora molti interrogativi

sabato 19 Agosto 2017

La Regione Siciliana con un recente provvedimento varato dalla A.R.S. ha proceduto all’acquisizione di Villa Santa Teresa, la famosa clinica di Bagheria, confiscata a Michele Aiello.

La fama di questa struttura è legata sia alla qualità delle sue prestazioni sanitarie, ritenuta da molti all’avanguardia nella cura dei tumori, sia per le vicende politiche e giudiziarie.

Si ricordano gli scandalosi, perché gonfiati, rimborsi che l’ingegner Aiello pompava alla Regione siciliana, e le indagini giudiziarie da cui emerse che nei fatti era una struttura creata dalla mafia, sotto la regia di Bernardo Provenzano, e che portarono all’arresto di Aiello, al sequestro della clinica e poi alla sua confisca .

Come tutti i beni mafiosi, prima sequestrati e poi confiscati in base alla legge, anche questa era stata affidata dall’autorità giudiziaria a due professionisti, Andrea Dara Gaetano Cappellano Seminara.

La gestione del Bene è durata più di tredici anni, con esiti disastrosi dal punto di vista finanziario, tanto che si provvide a sostituire i due professionisti, nel frattempo era scoppiato lo scandalo Saguto, con un magistrato, il Dott. Luigi Croce e un prefetto, il Dott. Luigi Marino.

La gestione ebbe un miglioramento, ma il buco finanziario, si parlava di ventisette o trenta milioni di euro, non consentiva un piano di rilancio tale di ripristinare un clima di serenità tra medici, infermieri e dipendenti, giustamente preoccupati per il loro futuro lavorativo.

Per uscire da questa situazione di crisi si prospettarono alcune soluzioni: l’acquisizione da parte dei privati o l’affidamento a una cooperativa, nel frattempo formatasi da parte dei medici. Entrambe le ipotesi non furono sostenute con la motivazione che, nel primo e nell’altro caso, si annidava il pericolo di possibili infiltrazioni mafiose.

Alla fine si è deciso, secondo un antico sistema che sembrava per sempre archiviato, di fare intervenire la Regione siciliana. Ci ricorda, infatti, come negli anni settanta la Regione, non a caso si meritò l’appellativo di “imprenditrice”, rilevava le aziende private decotte per gestirle tramite l’ESPI, ente di promozione sviluppo industriale, con i risultati disastrosi che conosciamo, bruciando immense risorse sottratte a investimenti più produttivi ed efficaci.

Qualcuno potrà obbiettare che questa è una situazione in po’ diversa poiché la struttura, almeno nelle intenzioni, pare che sarà gestita dal servizio sanitario e dunque non da manager improvvisati nominati dai politici, come avveniva per le aziende Espi.

La vicenda di Santa Teresa, tuttavia, pone degli interrogativi e delle riflessioni.

In primo luogo richiama l’attenzione sul tema dei beni, e in particolare delle aziende confiscate alla mafia, che potrebbero rappresentare con la loro riammissione nell’economia legale un contributo allo sviluppo e soprattutto alla salvaguardare i posti di lavoro, impedendo che si possa ripetere il drammatico e inquietante slogan che con “la mafia si lavora e con lo Stato No”.

I dati più recenti ci dicono, infatti, che più di 96 aziende su cento confiscate, falliscono.

La Regione siciliana che stranamente sul tema dei beni confiscati non ha mai svolto un ruolo, anche per i limiti della norma, con il suo intervento su Villa Santa Teresa crea un precedente che potrà essere invocato per altre strutture.

L’assessore alla Salute ha dichiarato che con questo provvedimento “ si restituisce ai cittadini un bene confiscato alla mafia”. Un passaggio al pubblico, peraltro ottenuto a titolo oneroso, stanziando, infatti, la somma di 27,3 milioni di euro.

Singolare appare, inoltre, che la cifra impegnata corrisponda esattamente al debito contratto dalla vecchia gestione con l’Asp di Palermo.

La Regione paga così, un bene che era già pubblico, acquistandolo, infatti, dallo Stato, acquisendo non tanto il bene ma i debiti provocati dallo Stato, nella fattispecie, dall’agenzia nazionale sui beni confiscati.

L’articolo 48 del codice antimafia, infatti, recita che i beni immobili confiscati vanno assegnati gratuitamente agli enti pubblici della propria regione e con diritto di prelazione. Solo nel caso che gli enti (Comune, Provincia, Regione) non manifestino interesse ad acquisirli, l’Agenzia nazionale può essere autorizzata a mettere il bene in vendita. Alla luce di tale indirizzo saremmo pertanto, in presenza di un provvedimento illegittimo da parte della Regione, nonostante la deroga prevista, che, peraltro, non solo acquisisce un bene che poteva avere gratuitamente, ma limitato solo alla struttura fisica, in quanto i lavoratori e le attrezzature rimangono in capo all’agenzia nazionale sui beni confiscati.

La singolarità di questa vicenda è che si è svolta in assenza di un confronto pubblico e trasparente.

Non si sono fatti sentire, né sono stati sollecitati a intervenire, il Comune di Bagheria, le rappresentanze sociali, le associazioni antimafia, i sindacati, i lavoratori e gli operatori della struttura.  Un silenzio assordante.

In particolare questi ultimi avrebbero diritto di sapere quale sarà il proprio futuro. Molti pensano di essere diventati dipendenti regionali o quanto meno del servizio sanitario.

Qualunque iter si voglia intraprendere per il processo di destinazione del polo sanitario il trasferimento non può che essere a un ente privato, sia che la rilevi in forma gratuita la cooperativa, e in questo caso non si capisce che fine farebbero i dipendenti che non hanno aderito alla cooperativa, sia che venga messa sul mercato. Al di la di queste soluzioni non rimane che la liquidazione!

E’ tempo dunque che si faccia chiarezza sull’intera vicenda di Villa Santa Teresa, e a partire da questa esperienza riaprire la discussione sulla gestione dei beni e delle aziende confiscate alla mafia che rischia di non dare i frutti sperati.

Occorre ripensare al ruolo dell’Agenzia nazionale, alla sua riforma, poiché sempre più un organo burocratico e inefficace, anche perché privo di strumenti adeguati e di professionalità con competenze economiche e gestionali. Come siciliani siamo fortemente interessati, anche perché (il dato è del 2012) solo in Sicilia sono presenti il 37% delle imprese sottratte alla mafia 561 su 1516.

In tal senso erano stati assunti precisi impegni dalla commissione nazionale antimafia, presieduta da Rosy Bindi in occasione della sua visita in Sicilia, ma poi non è successo nulla.

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