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William Shakespeare era in realtà il siciliano Michelangelo Florio?

lunedì 14 Gennaio 2019
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La vostra Patti Holmes ritorna indagatrice per istillarvi dubbi e curiosità su un caso, quello di William Shakespeare, che, da sicula, le piacerebbe approdasse alla meta che si è prefissa ma, essendo nipote di Sherlock Holmes, serio e non influenzabile detective, racconterà, grazie a una preziosa fonte, l’architetto messinese Nino Principato che ha scritto un interessantissimo libro dal titolo: “William Shakespeare e la città di Messina. Un mistero lungo quattrocento anni“, cercando di mantenere il giusto distacco.

Questo racconto parte da un nome,”Michel Agnolo Florio“. Ma chi era costui? E’ presto svelato. Nel 1927, un giornalista romano, Santi Paladino, trovò nella biblioteca paterna un antico libro, intitolato “I secondi frutti“, firmato da un certo Michel Agnolo Florio. Leggendolo, sempre più esterrefatto, scoprì che molte frasi in esso contenute erano identiche a quelle delle opere, tenetevi forte, di William Shakespeare, il grandissimo drammaturgo inglese.

La domanda che sorse spontanea fu se fosse un caso di plagio, ma la riposta, altrettanto chiara, annullò questo pensiero perché il libro in questione era stato stampato nel 1549, prima ancora della nascita del poeta inglese, avvenuta il 23 aprile 1564. Da qui nacque la tesi che William, anzi Michel Agnolo, fosse di Messina. Lasciatevi trasportare da questa trama che potrebbe essere fantasiosa oppure contemplare una base di verità.

Santi Paladino, indagando su Michelangelo, scoprì che, nato a Messina dal medico Giovanni Florio e dalla nobildonna Guglielma Crollalanza, fuggì a Treviso con la famiglia perché calvinista, studiò a Venezia, Padova, Mantova, viaggiando molto e visitando Danimarca, Grecia, Spagna e Austria. Diventò un umanista di grande cultura, ricercato come precettore dalle famiglie più ricche d’Europa e, grazie all’amicizia con Giordano Bruno che aveva buoni rapporti con i conti di Pembroke e Southampton, nel 1588 raggiunse Londra dove fu assunto come precettore di lingua italiana e latina della futura regina Elisabetta I, il cui lungo regno è ricordato come «età dell’oro».

Il giornalista, il 4 febbraio 1927, sulla rivista L’Impero, pubblicò l’articolo: «Il grande tragico Shakespeare sarebbe italiano», rivelando che Florio, per cancellare il proprio cognome da calvinista fuggiasco, aveva deciso di farsi chiamare William, che era il nome di un cugino residente proprio a Stratford morto prematuramente, traducendo in inglese il cognome materno Crollalanza con “Shake“, che vuol dire agita, scrolla e “Spear“, il cui significato è, invece, lancia. Paladino pubblicò anche due libri, nel 1929 e nel 1955, “Un italiano autore delle opere shakespeariane”.

Agli anglosassoni, ovviamente, questa tesi risultò indigesta e corsero immediatamente ai ripari. Dopo una visita a Roma di Winston Churchill, Benito Mussolini ordinò l’immediata chiusura dell’Accademia nazionale shakespeariana, nata a Reggio Calabria per iniziativa dei cultori del Paladino e sull’origine italica di Shakespeare calò il silenzio. La teoria dell’origine messinese fu, però, nuovamente avanzata nel 1950 dalla cattedra di Storia del diritto italiano dell’Università di Palermo e, precisamente, dal professor Enrico Besta. Nel 2002, un docente di letteratura in pensione, Martino Iuvara, approfondì ulteriormente le ricerche su Florio, alias Shakespeare, mettendo in risalto alcuni dati incontrovertibili.

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Tesi del professore Martino Iuvara

Michelangelo si rivelò un bambino prodigio dotato di grande genialità e appassionato di letteratura. A 16 anni conseguì il Diploma del Gimnasium in latino, greco e storia e, giovanissimo, scrisse una commedia in dialetto dal titolo “Tantu trafficu ppi nenti”, (Tanto rumore per nulla). A causa delle credenze religiose del padre, non più al sicuro a causa dell’inquisizione, venne prima mandato in Valtellina e poi a Milano, Padova, Verona, Faenza e Venezia. Ebbe anche il tempo di tornare a Messina, ma la sua permanenza nella città dello stretto durò poco. A 21 anni iniziò il suo personale “giro del mondo”, soggiornando prima ad Atene, dove fu insegnante, poi in Danimarca, Austria, Francia e Spagna (le due versioni, come vedete, combaciano). Particolare inedito, rispetto a quella di Paladino, è che tornato ancora una volta in Italia, precisamente a Treviso, s’innamorò di Giulietta, ma la storia tra i due, ahimè, finì in tragedia con il rapimento, per cause religiose, e la successiva morte di quest’ultima. Sconvolto da questo evento luttuoso, si trasferì a Venezia ma, dopo la trucidazione del padre per le stesse ragioni, decise di mettersi in salvo trasferendosi a Londra.

È qui che Michelangelo Florio cambiò identità, diventando il famoso William Shakespeare. Lasciatosi alle spalle tutte le paure e i dolori precedenti, Shakespeare ebbe finalmente modo di dedicarsi a scrivere per il teatro. Le rappresentazioni dei suoi testi ebbero grande consenso tra il pubblico, ma grande merito del suo successo è da attribuire al dotto cugino, che lo aiutò nelle traduzioni dall’italiano all’inglese, e alla moglie, di otto anni più grande di lui e sposata quando il drammaturgo aveva 28 anni. Superate le iniziali difficoltà, legate alla lingua, Florio-Shakespeare si impadronì perfettamente dell’inglese, coniando addirittura migliaia di nuovi vocaboli e arricchendo in maniera straordinaria la propria produzione letteraria. Divenne ricco, famoso e le sue opere molto apprezzate. William Shakespeare, Michelangelo Florio, morì a Londra il 23 aprile 1616.

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Per gli inglesi

Per gli inglesi, invece, William Shakespeare, il terzo di otto figli di un guantaio-macellaio analfabeta, nato il 23 aprile 1564 a Stratford-upon-Avon, località a 40 chilometri da Londra, dove morì il 23 aprile 1616, a causa delle ristrettezze economiche familiari, non ebbe modo di fare grandi studi. Tuttavia dopo i 25 anni, come per magia, (humour inglese, no, ironia trinacriese) iniziò a scrivere poesie, poemi, decine di opere teatrali, diventando un gigante della letteratura mondiale, tanto che il critico letterario statunitense Harold Bloom scrisse: «Dopo Gesù e Amleto, è la figura più citata nella coscienza occidentale». Ma come faceva il figlio di un guantaio analfabeta a possedere l’immensa cultura classica che Shakespeare dimostra nelle sue opere? Come poteva descrivere così fedelmente i luoghi e le usanze delle città italiane in cui sono ambientate molte delle sue opere teatrali?

Opere e italianità di Shakespeare
In Amleto, ad esempio, compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guilderstern, che erano stati compagni di studi proprio di Michelangelo Florio all’università di Padova e, sempre in Amleto, si trovano numerosi proverbi pubblicati dal giovane messinese nel libro “I secondi frutti”; nel Mercante di Venezia, il Bardo rivela una conoscenza della legislazione veneziana del tempo del tutto sconosciuta a Londra; Molto rumore per nulla è la traduzione inglese di una commedia giovanile del Florio, già citata, ma repetita iuvant alla nostra causa, “Tantu trafficu ppi nenti” e nella stessa commedia un protagonista se ne esce con una battuta che soltanto un siciliano poteva conoscere: “Mizzeca, eccellenza!”. Come dimenticare, infine, Antonio e Cleopatra, ambientato proprio a Messina, città d’origine di Florio?

The Times
Lo stesso quotidiano The Times, con un articolo di Richard Owen, uscì sulla vicenda con toni sorprendentemente accondiscendenti verso la tesi di Iuvara, commentando: «Il mistero di come e perché Shakespeare sapeva così tanto dell’Italia ed ha messo tanta Italia nelle sue opere, è stato risolto da un accademico siciliano in pensione. La questione risiede nel fatto che Shakespeare non era affatto inglese, ma italiano».

Riepilogando:

1. In Amleto compaiono i cognomi di due studenti danesi, Rosencrantz e Guildenstern, che frequentarono l’università di Padova e che Michelangelo Florio conosceva in quanto colleghi.

2. In Amleto si trovano molti proverbi pubblicati dal calvinista Michelangelo Florio nel volumetto intitolato “I secondi frutti”.

3. L’origine italiana di Shakespeare forse può spiegare i molti luoghi, presenti nelle sue opere, che richiamano nomi italiani, come: Romeo e Giulietta, Otello e l’Italia come: Due signori di Verona, Il mercante di Venezia, La Bisbetica Domata, (che è di Padova), Giulio Cesare, La Tempesta, che ha per protagonista Prospero, il vero duca di Milano.

4. Proprio nel Mercante di Venezia il Bardo rivela una approfondita conoscenza della legislazione veneziana del tempo, completamente diversa da quella vigente in Inghilterra e che nessun inglese del tempo poteva conoscere così bene. Inoltre, il maestro Bellario, citato nel testo, richiama un personaggio realmente esistito e molto famoso nell’ambiente giuridico padovano, il prof. Ottonello Discalzio.

5. La gran parte delle sue opere rivela una conoscenza diretta dei luoghi visitati durante il suo periodo girovago.

6. “Giulietta e Romeo” appare come la trasfigurazione artistica della storia d’amore vissuta da Michelangelo durante la giovinezza.

7. Nei registri della scuola secondaria di Stratford, la “Grammar School” non compare il nome di nessun William Shakespeare.

8. Si sa che William Shakespeare frequentasse a Londra un Club In, in cui, non risulta registrato fra i soci, mentre vi appare Michelangelo Florio.

9. E’ noto che la stringatezza della biografia di Shakespeare, raffrontata alla grande mole della sua opera teatrale, ha fatto dubitare dell’autenticità della sua esistenza a molti studiosi e ritenere essere il prestanome di un personaggio più famoso.

10. Shakespeare conosceva bene anche la storia romana e sapeva che Pompeo aveva soggiornato a Messina e, infatti, nella Commedia “Antonio e Cleopatra” parla della casa di Pompeo che si trova nella città dello Stretto ed è proprio lì che ambienta l’atto II scena I: “Messina. In casa di Pompeo. Entrano Pompeo, Menecrate e Menas in assetto di guerra”;

11. In “Molto rumore per nulla”, commedia degli equivoci, sono riscontrabili quel particolarissimo carattere del messinese che ama complicarsi l’esistenza proprio con gli equivoci e modi di dire e doppi sensi propri della parlata della città dello Stretto.

12. “Crollare”, in italiano antico, significava “scrollare” e, quindi, “crollalanza” traduce perfettamente “shakespeare”.

13. Quando morì Sheakespeare, il 23 aprile 1616, nessuna commozione né lutto nazionale si registrò in Inghilterra, quasi fosse uno straniero e non una gloria nazionale.

14. Lo studioso di Oxford Charlton Ogburn ha fatto altresì osservare che tra le 32 edizioni delle opere di Shakespeare, pubblicate prima del First Folio del 1623 in cui l’autore veniva menzionato, il nome conteneva il trattino in quindici casi, quasi la metà. Ciò rafforza la tesi del cognome composto (scrolla = shake, lanza/lancia=speare).

15. Chiudiamo con altre due testimonianze: una puntata del programma Voyager di Roberto Giacobbo del 2009 intitolata “Shakespeare era siciliano?” e un libro di Antonio Socci, “Traditi, sottomessi, invasi”, scritto l’1 ottobre 2017, che intitola un capitolo “Riprendiamoci Shakespeare“.

A voi cari lettori, la conclusione che più vi aggrada.

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