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Accadde a Ustica nel 1762

venerdì 19 Giugno 2020

Si può ben dire che uno dei motivi del mancato sviluppo dei commerci della Sicilia è stata la presenza aggressiva di flotte corsare provenienti soprattutto dal Maghreb che, per secoli, hanno dominato le acque che la circondano terrorizzando e saccheggiando le sue coste siciliane e che hanno reso difficile la vita dei villaggi e delle città sul mare e la stessa navigazione. Non è un caso che alcuni viceré del XVII e XVIII secolo, mi riferisco in particolare a Giovanni Fogliani d’Aragona e a Domenico Caracciolo di Villamaina, sentirono il bisogno di assumere dei provvedimenti che pensavano necessari per frenare questo flagello che feriva profondamente il sereno svolgimento del traffico commerciali e alimentava l’immondo mercato degli schiavi.

Fu il viceré Fogliani, passato alla storia per essere stato cacciato a furor di popolo dalla plebe palermitana affamata a seguito della carestia che per qualche anno rese difficili gli approvvigionamenti alimentari della capitale siciliana, a mettere per primo in atto un’iniziativa di contrasto che, non certo per colpe addebitabili, avrebbe avuto, purtroppo, un risvolto tragico. Ma raccontiamo in breve i fatti.

Nel corso della prima metà del XVIII secolo i corsari saraceni, fra le altre, avevano eletto a base d’appoggio delle loro devastanti scorrerie alcune delle isole antistanti la Sicilia e, fra esse, soprattutto la piccola Ustica, praticamente disabitata che, giuridicamente, apparteneva alla mensa arcivescovile di Palermo. Fu proprio il ripopolamento e la messa in sicurezza di Ustica l’obiettivo che il viceré, d’accordo con il governo borbonico, divisò di perseguire per impedire ai pirati di potervi mettere piede.

Per realizzare questo progetto, che prevedeva anche la costruzione di mura di difesa e di torri di guardia munite di cannoni, si accordò con la Mensa arcivescovile che, nel 1759, cedette al viceré la disponibilità giuridica della stessa isola a fronte di un canone annuo di 60 onze. I lavori di fortificazione iniziarono subito, anche se in maniera forse affrettata, tanto che già nel 1761 poteva essere pubblicato un bando per il popolamento dell’isola: a quanti erano disponibili a trasferirsi ad Ustica veniva offerto dei privilegi a cominciare dalla concessione di tre salme di terreno ai capifamiglia. Le condizioni, per il tempo particolarmente allettanti, convinsero un consistente gruppo di Lipari ad insediarsi nel nuovo territorio. Tutto sembrava funzionare al meglio anche se, appariva chiaro, che i pirati non si sarebbero rassegnati tanto facilmente alla perdita della loro base d’appoggio. Ed infatti, tentarono un paio di volte di riconquistare l’isola ma furono respinti dagli abitanti decisi a conservare quanto avevano acquisito.

L’8 settembre del 1762, di notte, l’isola fu raggiunta da alcune galeotte tunisine che, approfittando della poca sorveglianza si avvicinarono alla costa scaricando un numero consistente di corsari che sorpresero nel sonno gli usticani e annullarono le loro difese. Il bilancio fu tragico, quanti tentarono di resistere furono uccisi mentre settanta, fra essi soprattutto donne e bambini, furono ridotti in condizione di schiavitù e trasferiti in Tunisia per essere venduti. Per la cronaca di quei coloni, schiavizzati e sottoposti ad ogni genere di violenze, solo una decina fece ritorno a casa nel 1771, a seguito dell’interessamento della Deputazione per la redenzione dei cattivi, dietro pagamento di un lauto riscatto.

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