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Antonello da Messina, il riscatto: la mostra al Palazzo Reale di Milano

venerdì 22 Febbraio 2019

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Tra «gli indicatori del successo di una mostra, il numero dei visitatori è sicuramente il criterio più ovvio e con altrettanta certezza il meno importante», scriveva Mauro Lucco, curatore dell’indimenticabile monografica-evento dedicata ad Antonello da Messina a Roma, alle Scuderie del Quirinale, nel 2006.

Non ci soffermeremo, dunque, sulle «11 mila prenotazioni in soli 5 giorni» che per Vitta Zelman, presidente di MondoMostre Skira, già promettono il successo della mostra di Antonello da Messina a Milano, a Palazzo Reale, dal 21 febbraio al 3 giugno, che segue la prima tappa conclusasi a Palermo il 10 febbraio scorso.

Né tanto meno sui 28 mila visitatori registrati nel capoluogo siciliano, non solo perché è già evidente quale sia l’ordine di grandezza in ballo (11 mila in 5 giorni a Milano e poco più del doppio a Palermo, ma in due mesi!) e si dovrebbe poi andare a vedere anche quante sono state le scolaresche, i gratuiti, gli ingressi esclusivamente al museo (gratis nel periodo della mostra), ma perché l’esposizione milanese conferma su tutta la linea le ragioni (e previsioni) alla base della bocciatura da parte di chi scrive di quella in terra di Sicilia, che poco hanno a che fare con numeri, dati e percentuali, indicatori al ribasso culturale già liquidati da un’autorità come Lucco.

E, come dire, gli argomenti in merito non gli mancavano con una mostra che aveva registrato cifre da record: 318.558 in 100 giorni, con una media giornaliera di 3.186. Verifichiamo, allora, quanto dicevo in vista anche della tappa di Milano, che ieri ha aperto le porte ai visitatori.

I prestiti. All’indomani della chiusura della mostra a Palazzo Abatellis, quella solo della metà della metà delle opere annunciate, delle fotocopie incorniciate al posto degli originali, degli avvisi disinformanti, scrivevo su «Emergenza Cultura»: la «seconda “tappa” a Milano, a Palazzo Reale (dal 21 febbraio al 2 giugno 2019) per “l’aggiunta di opere non presenti a Palermo” promette già di essere la vera e propria mostra, quella del progetto scientifico originario, non realizzato a Palermo».

Promessa mantenuta, previsione confermata. Ecco che, infatti, tra la ventina di opere esposte troviamo puntualmente le opere di cui ci domandavamo il motivo del mancato arrivo in Sicilia: il San Girolamo nello studio della National Gallery di Londra, il Ritratto d’uomo della Gemäldegalerie di Berlino, il Ritratto d’uomo della Galleria Borghese di Roma, il Ritratto Trivulzio di Palazzo Madama di Torino, l’Ecce Homo del Collegio degli Alberoni di Piacenza. L’elenco dei prestatoti nazionali e internazionali annovera pure la National Gallery of Art di Washington (Madonna col Bambino), il Philadelphia Museum of Art (Ritratto di giovane) e il Museo Correr di Venezia (Cristo in pietà sorretto da tre angeli).

Dalla Biblioteca Marciana di Venezia arrivano, invece, 19 disegni (7 taccuini e 12 fogli) di Giovanni Battista Cavalcaselle, il primo storico dell’arte a realizzare il catalogo delle opere del pittore.

Presenti anche tutte le opere già esposte a Palermo, ad eccezione del Polittico di San Gregorio di Messina e dell’Annunciazione di Siracusa, non inviate per non fomentare in Sicilia nuove accese polemiche, dopo quelle contrarie già al prestito palermitano, di intellettuali, associazioni, giornali, con in testa la vera e propria crociata giornalistica de’ «La Gazzetta del Sud».

Manca, invece, all’appello il Cristo alla Colonna del Louvre, alla fine non prestato nemmeno per questa seconda tappa. Niente fotocopie ben incorniciate al posto degli originali: le due tavole di Reggio Calabria non ci sono e basta.

L’icona della mostra. Notavamo «la scelta non la si può certo dire un omaggio a Palermo e alla Sicilia: è il volto del San Benedetto (Trittico di Firenze), di proprietà della Regione Lombardia, e non quello sublime dell’Annunciadita  Palermo».

Torto riparato a Milano: e non solo perché l’Annunciata, così come a Roma nel 2006, riguadagna la copertina del catalogo, ma anche perché finalmente la si trova all’interno dell’allestimento e non incredibilmente tagliata fuori come a Palermo.

La questione della teca «scomparsa» del Ritratto d’uomo della Fondazione Mandralisca di Cefalù. Ci chiedevamo anche che fine avesse fatto a Palazzo Abatellis la teca microclimatizzata di cui è dotato il dipinto nel museo di appartenenza. Fu realizzata nel 2005 per consentire la conservazione dell’opera secondo i corretti parametri microclimatici ed illuminotecnici.

Dotata di un dispositivo di umidificazione e deumidificazione ad effetto termoelettrico (Peltier), mantiene costante l’umidità relativa del microambiente ad un valore prestabilito con un sistema di allarme che ne segnala il superamento dei valori limite prefissati. L’impianto di illuminazione interno è realizzato con fibre ottiche. Una teca progettata anche per accompagnare l’opera nei suoi spostamenti.

Per i tecnici, infatti, il momento più critico sotto il profilo conservativo è quello del cambio di ambiente, quando viene meno la stabilità microclimatica. La teca serve proprio a garantirla, a patto che essa stessa sia manutentata con regolarità.

Il punto è proprio questo: alla richiesta di chiarimenti, apprendiamo dal Presidente della Fondazione Mandralisca, Giovanni Purpura, che la teca non ha seguito il dipinto a Palermo semplicemente perché non funziona. Necessita di una revisione presso il Centro Regionale Progettazione e Restauro di Palermo, che l’aveva progettata. E non da ora, ma almeno dal G7 di Taormina del 2017, dove il ritratto di Antonello fu esposto e « in cambio del prestito – ci spiega sempre Purpura – la Regione Siciliana accordò alla Fondazione dei fondi proprio a tale scopo».

Per inciso, il museo di Cefalù, che vedrà avviare un atteso restyling dell’edificio nel prossimo novembre, come contropartita per la lunga assenza dell’opera di punta della collezione, riceverà dall’Abatellis due dipinti di Giorgio Vasari (dal 9 marzo al 31 ottobre) e a chiusura della mostra a Palazzo Reale il Ritratto d’uomo dei Musei Civici di Pavia (dal 1 giugno al 31 ottobre), a cui adesso è affiancato a Milano. A Palermo questi che erano gli unici due ritratti in mostra non si sa perché erano stati, invece, condannati a un non dialogo a distanza: uno all’inizio, l’altro alla fine del percorso di visita.

Ma la conferma più tristemente evidente riguarda proprio colui che avevamo messo al centro nella valutazione della mostra di Palermo, il visitatore: il suo diritto a una corretta informazione può essere tranquillamente calpestato. Il comunicato stampa della Giunta regionale della Sicilia per l’inaugurazione della mostra organizzata in collaborazione col Comune di Milano, parla ancora di «successo ottenuto a Palermo», col presidente Nello Musumeci che ribalta il peso delle due mostre, per cui «si completa a Milano un percorso iniziato a Palermo (…) con grande successo, grazie alla sinergia tra Regione e Comune di Milano, consentendo di riunire questi grandi capolavori». Già, a Milano, non di certo nelle defezioni generali registrate per Palermo.

«Operazione congiunta di altissimo livello che certamente darà lustro all’Italia intera», gli fa eco l’assessore dei beni culturali e dell’Identità siciliana Sebastiano Tusa. Quando non si è trattato altro che di un’operazione sbilanciata, ennesima discutibile prova di quella gestione autonoma del patrimonio di cui la Sicilia gode, unica tra le Regioni a statuto speciale, e che oggi viene reclamata pure da Veneto, Emilia Romagna e dalla stessa Lombardia.

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