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Archimede di Siracusa e le sue invenzioni, un genio siciliano che oltrepassa la storia

domenica 10 Febbraio 2019

Sicuramente, Archimede di Siracusa può essere annoverato tra le più grandi personalità della storia umana e non è un caso se a distanza di ventitré secoli il suo nome riecheggi ancora vivo e familiare.

Genialità poliedrica, si distinse in diversi campi dello scibile umano: dalla matematica alla geometria, dalla statica alla dinamica, oltre ai suoi celeberrimi studi sul galleggiamento dei corpi, si interessò inoltre di architettura, dando anche importanti contributi all’ottica.

Archimede visse nella Siracusa del III secolo a. C. (287- 212), assumendo un ruolo importante nella difesa della sua città dagli assedi messi a punto dai Romani, che controllando già gran parte della Sicilia, intendevano espugnare la città ellenica per completarne la conquista. Naturalmente, le contingenze politico-militari stimolarono l’interesse dello scienziato siracusano per lo sviluppo e il perfezionamento di armi e macchine da guerra. Tra quest’ultime non si può non ricordare la “Manus ferrea”, probabilmente si trattava di enormi tenaglie munite di catene che agganciavano le imbarcazioni romane vicine alle mura cittadine, poi le sollevavano e le scaraventavano con forza in acqua.

Inoltre Archimede ideò enormi gru in grado di sollevare e lanciare grandi massi, ma furono numerose le invenzioni in campo bellico del genio siciliano, per esempio Polibio scrive di “scorpioni”, baliste e balestre. Particolare era il “lithobolos”, una macchina di dimensioni considerevoli, in grado di lanciare sfere di pietra, anche più pesanti di 70 kg e giavellotti di circa 5 m che potevano avere una gittata di 180 m. Si trattava di invenzioni notevoli per l’epoca, armi da getto basate sui principi delle leve, che metteranno a dura prova i tentativi degli eserciti romani di assalire con successo Siracusa.

Attorno alla figura di Archimede, nel corso dei secoli, si è alimentata la leggenda relativa agli specchi ustori in grado di incendiare le navi romane attraverso il riflesso della luce. È ancora una questione controversa e oggi gli storici della scienza sono per lo più inclini a credere che si tratti di una leggenda. Lo studioso Lucio Russo sottolinea, giustamente, l’importanza di porre una distinzione tra la progettazione di specchi ustori, il che è verosimile, e la loro applicazione in campo militare: due temi completamente differenti. Se è certa la progettazione degli specchi, è molto probabile che furono anche costruiti: infatti, non dobbiamo dimenticare che Archimede aveva effettuato diversi studi sulle parabole, scrivendo anche un’opera riguardante gli specchi, alcuni dei quali, in grado di incendiare gli oggetti. Tuttavia, anche se le navi dell’epoca erano altamente infiammabili, l’uso di questi specchi nell’arte della guerra sembrerebbe una leggenda, soprattutto perché le fonti più affidabili sull’assedio romano di Siracusa, primo fra tutti Polibio, non parlano minimamente di specchi ustori. Oltretutto, gli impedimenti pratici nell’utilizzo di un simile strumento erano legati alla distanza delle imbarcazioni, al continuo oscillare di quest’ultime sul mare, alle dimensioni della parabola, alla rotazione terrestre (quindi lo spostamento del sole) e all’inclinazione dei raggi solari.

D’altra parte, gran parte delle leggende conservano in sé qualche elemento ancorato alla realtà, infatti lo storico Antonino Vittorio nella sua opera “Archimede siracusano, invenzioni e contributi tecnologici” delinea in modo chiaro l’uso in campo medico, nell’epoca in cui visse lo scienziato, di piccole parabole per bruciare le ferite (che così venivano disinfettate) mediante il riflesso dei raggi solari. Però la questione non è ancora conclusa: invero, alcuni storici della scienza, imbattendosi in annotazioni di Leonardo Da Vinci, hanno portato alla luce un’altra invenzione di Archimede, una sorta di “cannoni a vapore”, che ci permetterebbe di comprendere meglio l’eventuale applicazione degli specchi in ambito militare. Leonardo studiò un importante manoscritto, famoso alla sua epoca, cioè il “Trattato di architettura e macchine” di Francesco Di Giorgio, occupandosi in particolar modo di un “cannone a vapore”, cioè l’architronito, la cui invenzione venne attribuita dal genio toscano ad Archimede.

Ma non solo, già alla fine del XV secolo, il matematico Nicolò Tartaglia rinvenne nel “De re Militari” di Roberto Valturio un’annotazione, nella quale s’indicava lo scienziato siracusano quale inventore di una macchina in ferro da cui venivano sparati proiettili. Quindi, Archimede avrebbe messo a punto dei “cannoni” che per sparare avrebbero utilizzato il principio dell’espansione dei gas; in tutto ciò, gli specchi ustori sarebbero serviti per scaldare i “cannoni”. In sostanza, Siracusa riuscirà a resistere agli assedi romani, più a lungo del previsto, anche grazie alla genialità di un personaggio grandioso come Archimede, entrato nella cultura e nell’immaginario collettivo della civiltà occidentale (e non solo), un personaggio che realizzerà un gran numero d’invenzioni, alcune delle quali contaminate da elementi leggendari, ma anche pulite da quest’ultimi, rimangono pur sempre invenzioni straordinarie.

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