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Arresti a Messina fra politici, imprenditori e colletti bianchi. I nomi degli indagati

giovedì 2 Agosto 2018

Imprenditori, funzionari comunali, costruttori e manager delle municipalizzate: sono i personaggi coinvolti nella inchiesta della Procura di Messina che ha portato a 13 provvedimenti cautelari e ha svelato un comitato d’affari che condizionava a fini privati l’attività del Comune.

Al centro l’ex presidente del Consiglio Comunale Emilia Barrile.

Tra i nomi coinvolti c’è anche quello del direttore generale dell’azienda di trasporti Atm, Daniele De Almagro, che sarebbe stato favorito dalla Barrile in cambio dell’assunzione nella società di un autista, che non aveva i requisiti per svolgere il lavoro.

Indagato anche il costruttore Vincenzo Pergolizzi: la Barrile gli avrebbe fatto acquistare, grazie alla complicità del funzionario comunale Francesco Clemente, il terreno comunale dove doveva realizzare una palazzina.
Tra gli indagati anche il commercialista Marco Ardizzone e gli imprenditori Angelo Pernicone e Giuseppe Pernicone, titolari di una società di vigilanza che svolgeva l’attività in occasione di eventi allo stadio. In cambio di agevolazioni nelle pratiche amministrative la Barrile avrebbe ottenuto l’assegnazione a una coop che controllava della gestione dei punti di ristoro allo stadio.

Nell’ambito dell’inchiesta della procura messinese sul comitato d’affari in città sono state emesse una misura di custodia cautelare in carcere nei confronti di: Vincenzo Pergolizzi, classe ’53; 10 misure di arresti domiciliari nei confronti di Emilia Barrile, classe ’70; Marco Ardizzone, classe ’72; Francesco Clemente, classe ’67; Stefania Pergolizzi, classe ’78; Sonia Pergolizzi, classe ’80; Carmelo Cordaro, classe ’60; Michele Adige, classe ’80; Vincenza Merlino, classe ’64; Carmelo Pullia, classe ’68; Giovanni Luciano, classe ’65. La misura della sospensione dal pubblico ufficio ricoperto per la durata di sei mesi è stata emessa nei confronti di: Daniele De Almagro, classe ’65; il divieto temporaneo, per la durata di sei mesi, di esercitare attività imprenditoriali e di ricoprire uffici apicali in seno ad imprese e persone giuridiche è stato emesso per Antonio Fiorino, classe ’66.

Gli indagati, insieme ad altre 7 persone denunciate, sono accusati, a vario titolo, di corruzione per un atto contrario ai doveri d’ufficio, induzione indebita a dare o promettere utilità in concorso, corruzione, detenzione illegale di armi, accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico, turbata libertà degli incanti, associazione per delinquere, intestazione fittizia di beni, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte.

Le misure cautelari reali, frutto di approfondimenti investigativi di natura finanziaria-patrimoniale, hanno colpito gli interi capitali sociali e compendi aziendali della “PER.EDIL SRL”, della “CO.STE.SON. srl” e della “ER.GI. COSTRUZIONI srl”, oltre ben 11 cespiti immobiliari rientranti nel patrimonio personale di uno degli indagati per un valore complessivo stimato in 35 milioni di euro.

Ardizzone è ritenuto il ‘consigliori’ di Barile. Fin dagli anni 90, secondo gli investigatori, sarebbe stato vicino al gruppo criminale mafioso dei “Mancuso”. Barrile, approfittando del suo ruolo politico, avrebbe fatto avere a una coop che controllava, la “Universo e Ambiente”, il servizio di pulizie dell’Amam, l’Azienda meridionale delle acque. Alle dipendenze della società è stato assunto con un ruolo di vertice Carmelo Pullia, mafioso del clan Mancuso recentemente scarcerato dopo una detenzione ventennale.

Le cooperative riconducibili alla ex presidente del Consiglio, anche grazie a una alternanza tra periodi di lavoro e periodi di disoccupazione gestiti tramite patronati compiacenti, venivano usati come strumento per dare posti di lavoro e acquisire diffuso “consenso popolare”.

Dall’inchiesta sarebbe emerso anche il tentativo di Pergolizzi, ritenuto vicino alla mafia di Barcellona Pozzo di Gotto e sottoposto a misura di prevenzione, di sottrarre, attraverso la complicità di familiari e persone di fiducia, il suo patrimonio al sequestro antimafia e di evitare il recupero del credito erariale, quasi un milione di euro, da cui le sue società erano gravate. Con una serie di “trasformazioni” societarie per mezzo dei propri familiari, ha inscenato fittizie controversie con dipendenti di fiducia, per svuotare fraudolentemente le società di beni e capitali.

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