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Coronavirus, la sindrome dello zaino vuoto e le certezze che vacillano

mercoledì 1 Aprile 2020
coronavirus mascherine

Oggi ho il piacere di ospitare nella mia rubrica Lia Di Mariano, una psicologa che ha deciso di dedicare la propria professione alla progettazione sociale. Lavora per People Help the People, e collabora con diverse organizzazioni del terzo settore. Da qualche settimana ha creato il gruppo Facebook #maniresponsabili come luogo di condivisione di informazioni, di strategie, di attività utili a contrastare le misure di distanziamento sociale a cui siamo stati obbligati per via del Covid 19.

Di Lia Di Mariano

Tutti noi abbiamo uno zaino. Sì, proprio quello che si porta sulle spalle, spesso con fatica, talvolta con disinvoltura.

Oggi quello zaino appare svuotato, come quello dei milioni di studenti rimasti a casa, o dei lavoratori che ogni mattina portavano con sé documenti e notebook per un lavoro “in spalla” o on the road.

Già, è svuotato di tutte le nostre certezze quotidiane, prima fra tutte quella della salute. Sfido chiunque in questo periodo di “contagion” a dichiarare di non aver mai misurato la temperatura o non essersi insospettito per un colpo di tosse in più del dovuto.

Abbiamo riscoperto una dimensione di fragilità, quella fragilità che abbiamo sempre attribuito ai disabili, ai bambini, agli anziani… Oggi appartiene a tutti noi.

Non possiamo nasconderlo, eppure lo stiamo facendo. Chiusi nelle nostre case, forse la nostra unica certezza, almeno per chi ce l’ha e almeno per chi, dentro quella casa, non è costretto a subire violenze travestite da amore.

Sono tanti ipensieri che affollano la mente in questo periodo e invochiamo ogni giorno la ragione per non lasciarci travolgere. E così ci inventiamo nuove routine quotidiane, cerchiamo di assolvere al meglio il nostro impegno con lo smart working, cerchiamo di non lasciarci sopraffare da news h24 che ne dicono di tutti i colori, sparando a zero sulla capacità di discernimento e lasciando nel baratro proprio i più fragili, quelli che si affidano al sentito dire, alla TV, a tutti i social in maniera indiscriminata.

E noi, i forti, se ancora ci crediamo tali, cosa possiamo fare? Ci inventiamo strategie alternative per non soccombere. Creiamo gruppi social (io in primis, cosa che non avevo mai fatto) per alleviare le solitudini che stiamo affrontando ciascuno a modo suo, creiamo ashtag che speriamo diventino virali (proprio come il Coronavirus!), guardiamo dalle finestre e speriamo.

Speriamo che tutto questo un giorno finirà, ma questa speranza è mista alla preoccupazione di non sapere quali conseguenze lascerà. Se ci lascerà la consapevolezza che possiamo vivere bene anche con meno futilità che abbiamo ritenuto imprescindibili fino a qualche giorno fa. Se ci lascerà lo sconforto di avere perso una persona cara senza averle potuto concedere neanche l’estremo saluto. Se ci lascerà un paese in ginocchio, abbandonato alla buona volontà dei pochi e alla speculazione dei tanti, perché si sa, la storia è fatta d corsi e ricorsi e se guardiamo indietro di esempi ne abbiamo aiosa.

Siamo fiduciosi nella scienza, ma questa come non mai rivendica il sostegno per la ricerca, per l’assistenza, per la competenza. È proprio quando sentiamo mancare la terra sotto i piedi che apprezziamo la forza di gravità, che ci tiene saldi, stabili ed eretti. Ma quando questa terra si sgretola vengono fuori le falle di un sistema che abbiamo martoriato con tagli alle strutture, al personale, alla formazione delle giovani leve. Abbiamo chiuso gli accessi, selezionato, ridimensionato all’inverosimile tutto ciò che serve quotidianamente e ancordi più nel momento del bisogno.

Stiamo soffrendo tutti, una sofferenza nuova che impone di riflettere profondamente sul senso della vita e della morte.

Oggi piango per chi muore e per chi, pur avendo fatto di tutto, non può salvare una vita, per chi non ha potuto tenere la mano a chi se ne andava per sempre. Ma ho la consapevolezza di essere viva e voglio dedicare il mio tempo ad alleviare per quanto e per come possibile la vita di chi, come me, oggi si sente uno zaino vuoto. Con umiltà, senza giudizi e con la voglia di dare il mio contributo a costruire umanità.

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