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Cosa dire ai bambini sulla morte e sulla vita

venerdì 30 Marzo 2018

Morte come ‘rinascita’e vita come ‘evoluzione’

Cos’è la morte e cos’è la vita, un argomento molto difficile da spiegare ai bambini, ancora in una fase critica della loro formazione cognitiva. In genere, fra i cattolici, si tende a raccontare loro delle favole: la nonna è salita su in cielo ed è insieme agli angeli, etc. Io non credo che sia questa la giusta strategia, se vogliamo crescere uomini, sensibili, sì, ma ‘orientati al sapere’. Certamente, trasmettere loro il dubbio legato ai misteri ancora non svelati, può alimentare paure e ansie. Si può benissimo, come nel mio caso, fare il‘gioco del far finta’: non ci sono prove che Babbo Natale esista, ma possiamo scrivergli lo stesso la lettera. In questo modo, il bambino sa che non deve avere paura, che si parla di cicli naturali e che può fantasticare non solo sugli angeli e sul paradiso, ma anche su tante altre teorie, egualmente (se non più) da tenere in considerazione!

Dal punto di vista medico: la morte corrisponde alla cessazione (fine) di tutte le funzioni biologiche e vitali di un organismo. La vita, al contrario, è consentita dal (buon) funzionamento degli organi e da tutti i processi psico-fisici a essi connessi. Se vita è ‘energia in movimento’ e questa non può morire, allora ne consegue che non esiste “morte”. Immaginate il corpo umano come un contenitore di questa energia. Finché l’energia è in circolo, il corpo vive, quando l’energia trasmigra, muoiono anche le cellule, gli organi, i tessuti. Tutto fa parte di un ciclo naturale essenziale.Questa energia va nutrita con pensieri e azioni positive. Se non circola bene o vengono, al contrario, fomentati i pensieri/azioni negative, tossiche per l’organismo tutto, ecco che subentrano le malattie, più o meno gravi che possono portare alla morte. L’organismo è costituito da mente e corpo, due componenti inscindibili e assolutamente collegate fra di loro.

Grazie al dono della vita, l’essere umano ottiene la possibilità di evolversi e portare a un livello successivo i suoi geni. Cosa sono i geni? Sono il corredo cromosomico che l’individuo porta con sé alla nascita e che non è fatto soltanto di colore di capelli, pelle, ma anche di tic nervosi, script (copioni) comportamentali. Dei propri avi si ereditano addirittura i ricordi, i traumi, tanto è vero che la memoria traumatica può condizionare molto le scelte che si fanno, gli atteggiamenti che si assumono. Tuttavia, la vita ci è data per “passare gradualmente verso forme mentali e fisiche più progredite”.

La morte è una “esperienza” negativa? Assolutamente no. Ce lo dicono la natura e la scienza. Quando un cervo sta male, si mette lui stesso davanti al branco, perché possa essere la prima vittima di un predatore, permettendo così agli altri compagni, sani, di sopravvivere e salvaguardare la continuità della specie. Quando si muore c’è sempre una rinascita, in natura, perché così vogliono le leggi universali.

Occorre, però, distinguere fra morte naturale e morte per suicidio o omicidio.

È stata scoperta una particella, denominata “particella di Dio”, altrimenti detta “Bosone di Higgs”, che sembra tenere insieme tutto il creato. Secondo i fisici, non esiste la causalità, ma tutto è già determinato. “L’Universo è regolato da semplici operazioni matematiche”, dice Einstein. Se vogliamo che dalla vita o dalla morte venga fuori qualcosa di buono, l’equazione risulta la seguente: tutto dovrebbe essere ordinato, armonioso, bello, semplice ed elegante, senza forzature e violenze, come il suicidio o l’assassinio. Ecco a cosa serve il filtro cognitivo: ogni scelta va ragionata pensando alle risorse possedute, a se stessi, agli altri. La teoria delle stringhe ammette che possano esistere contemporaneamente molti universi. Allora, forse, dobbiamo sperare di capitare in quello “giusto” o meno drammatico. In questo senso, il dilemma se sia meglio la vita o la morte mi sembra risolto: meglio ciò che conosciamo e vediamo. Proviamo a migliorare il nostro microsistema, prima di pensare a passar a un’ipotetica altra vita, in virtù del fatto che ‘non esiste causalità’ e che ‘ci sono ragioni superiori o divine a noi sconosciute’.

“Il principio di causalità deriva dal fatto che in fisica, almeno alle attuali evidenze sperimentali, non esiste segnale che si muova più velocemente della luce (o in modo equivalente rispetto alle onde elettromagnetiche). Questa velocità limite permette, quindi, di stabilire una linea del tempo e, di conseguenza, un ordine nella successione degli eventi in base al quale si possono mettere in relazione e stabilire così i rapporti di causa-effetto”, dice Andrea Mastellone, PhD per il CIRA (Centro di Ricerca AeroSpaziale Italiana: http://www.cira.it/it/corporate/chi-siamo/persone/dettaglio-persona?email=a.mastellone@cira.it).

Un’ultima nota: la parola “morte” dovrebbe essere usata con parsimonia ed empatia, considerando che richiama alla memoria l’esperienza di dolore di chi subisce la perdita di un caro e, di conseguenza, lo stravolgimento del proprio mondo. Meglio usare lemmi come “scomparso, andato via”.

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