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Crisi politica e istituzionale: “si è conclusa”

venerdì 8 Giugno 2018
Elio Sanfilippo
Elio Sanfilippo

Si è conclusa, anche se con grande fatica, la crisi politica e istituzionale, apertasi con il voto del 4 marzo, con la formazione del governo fondato sull’alleanza, o sul contratto come amano chiamarlo, tra la Lega di Salvini e i 5 stelle di Di Maio.

Inizia per il Partito Democratico la cosiddetta “traversata nel deserto”, la lunga marcia dell’opposizione che interrompe una fase che aveva visto, anche nel momento di maggiore gloria del Berlusconismo, l’esperienza dei governi Prodi e più recentemente, nella legislatura appena trascorsa, i governi di Letta, Renzi e Gentiloni.

L’impressione è che non siamo all’interno di un contesto normale, come avviene nelle democrazie occidentali, di una fisiologica alternanza di governo, in cui chi era all’opposizione è chiamato a governare, in virtù del consenso ottenuto, e le nuove forze di opposizione si preparano, con la loro azione a ricandidarsi fra cinque anni alla guida del governo.

Siamo, infatti, alla presenza di un’alleanza tra forze che fino a qualche mese fa, gli stessi promotori la ritenevano impossibile e innaturale, che è frutto di una crisi del nostro sistema politico istituzionale come storicamente lo abbiamo conosciuto: altro che seconda e terza repubblica, siamo sempre ancora alla presenza della crisi della prima che ancora non trovato sbocco e soluzione.

Non a caso ad essere maggiormente in crisi sono quelle forze come il PD e Forza Italia.

La prima che si richiama alla tradizione storica del PCI, della Democrazia cristiana di sinistra, dei cattolici democratici e di quell’area, almeno in parte, laico-socialista.

La seconda che si ricollegava alle forze del pentapartito (DC, PSI, PRI, PSDI, PLI) che, fino tangentopoli e alla caduta del muro di Berlino, avevano governato il Paese in funzione anticomunista. Entrambe, però, anche se con visioni diverse e anche contrapposte, facevano riferimento alla Carta Costituzionale, frutto della lotta di liberazione antifascista che aveva dato vita alla Repubblica.

Le forze protagoniste di questa nuova fase politica, al contrario, non hanno alcun legame con questa storia e la tradizione democratica del paese, non hanno alcuna cultura europeista, si presentano come forze antisistema e alternative al sistema, sfruttando, appunto, la crisi del sistema.

Sul successo del loro progetto politico è lecito dubitare, come del loro insuccesso, anche se dal programma -contratto, oggettivamente, non emerge alcuna grande rivoluzione, ma soltanto delle promesse che però vanno incontro alle aspirazioni e ai bisogni degli italiani: più lavoro, meno tasse, più sicurezza, stop agli immigrati, più attenzione alle fasce più deboli.

Non a caso il livello di gradimento per le due forze politiche è ancora elevato e la gente guarda con speranza a questa novità: se realizzassero almeno il 50% di quello che hanno promesso, sarebbe già un successo, è questo che per ora si sente in giro. Tutto dipenderà dalla capacità di governo e dalla validità delle ricette messe in campo per la soluzione dei problemi.

Sulle ragioni della vittoria di questa compagine si è già scritto molto, come su quelle della sconfitta del centro sinistra.

Quello su cui però è importante riflettere è se siamo alla presenza di un declino irreversibile delle forze politiche tradizionali e di una nuova realtà politica fondata su due poli oggi alleati ma che in futuro saranno tra loro alternativi.

Piccoli segnali in tal direzione arrivano da recenti elezioni amministrative, come in Val d’Aosta, dove né Forza Italia, né Il PD, sono addirittura entrati nel consiglio reginale, o da alcuni ballottaggi in cui la sfida è tra il candidato Grillini e leghista, per non parlare della Sicilia in cui vi sono realtà in cui il PD è ormai a livello di testimonianza.

Tutto dipenderà da come il Partito democratico affronterà questa “ traversata nel deserto” che lo attende, dal grado di affidabilità, dalla comprensione dei mutamenti sociali e culturali, dalla capacità di ricollegarsi con le istanze sociali, dalla classe dirigente che presenterà, e non pare che si stia equipaggiando in maniera adeguata.

Il PD deve aggiornare e modificare la sua visione della società, proporre un modello sociale ed economico in cui riconoscersi il mondo del lavoro e dell’impresa, ridisegnare un nuovo Welfare che oggi garantisce i garantiti ed esclude i più bisognosi e privi di alcuna protezione, e infine una riforma dello Stato e delle istituzioni un cui i cittadini possano riconoscersi.

E’ attorno a questo programma di reale cambiamento che si costruisce una leadership coerente con gli obiettivi, forte e autorevole perché espressine plurale di una società complessa e articolata e non più omogenea economicamente, socialmente e territorialmente.

L’opposizione non è una malattia, un fardello da sopportare, ma un ruolo importante, una componente essenziale della democrazia e della libertà, chiamata a svolgere un ruolo essenziale a difesa degli interessi dei cittadini. In tal senso rappresenta anch’esso un potere ma che bisogna saperlo esercitare.

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