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Delitti in famiglia, fra giustificazioni e colpe

venerdì 24 Aprile 2020

Miei cari Liberi Nobili, sono consapevole del fatto che l’argomento di oggi potrebbe surriscaldare la sedia di qualcuno. Cercherò di mostrarvi una faccia di alcuni assassini, descrivendovi la loro “illegittima offesa”.  Molti omicidi avvengono fra le mura domestiche. Le guardiamo sempre in TV e l’affermazione, in media, è di orrore e rabbia: “Ma come è possibile!?!”. Se non si tollera più qualcuno perché non ci si allontana e basta? Perché ucciderlo? La risposta più semplice è: “Per toglierlo dai piedi”, perché solo con la morte si pensa, erroneamente (visto che non sappiamo quanto sia vera la teoria dei legami karmici), che quella persona non esisterà più, non la si incontrerà e non si avrà più a che fare, per una ragione o un’altra, con lei.

C’è una tristezza, disperazione, bile dietro questo pensiero che io ho cercato di estrapolare da una personale profilazione analitica di ciò che accade nella mente di questo genere di criminali. Questo articolo non vuole essere una giustificazione di questi misfatti nella maniera più assoluta ma ciò non toglie che sia necessario tentare di comprendere come si arrivi a un punto di non ritorno come l’assassinio per potere attuare un’opera di prevenzione. La consapevolezza è il primo passo, infatti, per precedere l’acting out di certi vissuti emotivi dolorosi e conflittuali attraverso la messa in atto di comportamenti dettati dall’impulso e dall’odio.

Ci sono persone che non si rendono proprio conto, o se ne rendono conto ma è più forte di loro, di essere talmente petulanti, insistenti, indelicate nel porre questioni o nel formulare critiche e proteste, talmente importune oltre che inopportune, invadenti e compenetranti, che assillano così tanto l’altro con vessazioni di ogni tipo, verbali e non, invisibili e non, che, alla fine, purtroppo, si impossessano della mente della vittima (poi, carnefice) con l’introiezione vera e propria di quella voce tanto odiata e accoltellante.

Giorno dopo giorno sembra una sferzata continua. Ci si rialza, si perdona, si ricomincia la giornata ma, poi, insorgono, per l’altro, nuove ragioni per attaccare, per aggredire verbalmente, per annichilire e avvilire. Chi è la vittima e chi è il carnefice? Questo genere di assassini non vuole uccidere solo l’altro per saturazione, per desiderio di liberazione ma anche se stesso, quella parte di sé che è impregnata di quella tossicità, di quelle parole, di quella persona, sempre presente anche nell’assenza (anche negli incubi) a causa del timore che, da un momento all’altro, possa esserci un nuovo abbrivo di illegittima offesa e non basti infuriarsi a propria volta per arrestarne il flusso di veleno.

Voglio solo dire che qualunque atto va contestualizzato e non giudicato aspramente perché l’errore più grande è sottovalutare i primi albori di una insofferenza relazionale da parte di parenti, amici e anche da parte dei governanti, senza offesa, perché si può fare tanto con una corretta informazione sul fenomeno e su quanto sia fondamentale correre anzi tempo ai ripari facendosi seguire da esperti psicologi. E se tali ragguagli non bastassero occorrerebbe imporre la psicoterapia all’intera famiglia con la legge.

Attenendoci ai dati, è possibile vedere che il maggior numero di vittime si registra all’interno della relazione di coppia e che è in crescita il fenomeno dei figlicidi.

Per quanto concerne i matrimoni, chi mi segue da tempo sa già cosa penso in merito: aborro i matrimoni per interesse e sono assolutamente persuasa che l’amore debba essere vissuto, per certi versi, con il sentimento e la passione, per altri, con il raziocinio e il calcolo probabilistico. Considerando che il rapporto di coppia è ciclico, che lo vogliate ammettere oppure no, questo ciclo può concludersi oppure rinnovarsi. Ciò detto, ancor prima che si arrivi alla degenerazione dei rapporti, occorre educare gli altri, per es. i figli, e avvezzare noi stessi, nel medesimo tempo, a una cultura del non attaccamento che consista nella capacità di lasciare andare l’altro o liberare se stessi. Questo livello evolutivo non lo si può raggiungere senza qualche atto notarile prematrimoniale firmato qui e lì, nell’interesse reciproco, affinché si possano non ingoiare certi rospi nel futuro, quando la passione svanisce, ma avere a disposizione altre vie di uscita.

Per quanto concerne i figlicidi, il vantaggio della prigionia da COVID-19 è che si può pianificare la recisione del cordone ombelicale adattandosi anche a lavori umili e faticosi pur di conquistare la propria autonomia. È anche “colpa” dei genitori se ci sono ancora i figli a casa perché la co-dipendenza è reciproca. Tuttavia, non vi sono reali colpevoli, ognuno fa quello che può e il mestiere del genitore è difficile e non andrebbe gestito da chi non conosce l’amore autentico e incondizionato ma l’amore-bisogno, patologico e patogeno. Si restringano le maglie della legittima offesa e si pensi che i delitti in famiglia non sono solo quelli visibili o condannabili. Ci sono dinamiche che sfuggono pure a un occhio clinico ma non a chi è invischiato in esse e riceve le frecciatine di quella che viene etichettata come vittima mentre tutti, familiari compresi, lo additano come pazzo, perché anche a loro sono sfuggite orrende verità. Mettiamoci, ogni tanto, nei panni del criminale. Tutto qui.

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