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Depistaggio Borsellino, colpo di scena al processo: un poliziotto rivela dettagli clamorosi

venerdì 18 Ottobre 2019
RT2000 bobine, Borsellino e Scarantino

Nuovi clamorosi dettagli emergono al processo sul depistaggio della strage di via D’Amelio, che vede sul banco degli imputati tre poliziotti (il funzionario di Polizia Mario Bo, gli ispettori Fabrizio Mattei Michele Ribaudo, accusati di concorso in calunnia).

Secondo quanto riporta Salvo Palazzolo su Repubblica, in aula, davanti ai giudici del tribunale di Caltanissetta ha parlato Giampiero Valenti, ispettore del gruppo Falcone-Borsellino, tirato in ballo dal falso pentito Vincenzo Scarantino: “Scarantino ha sbagliato il mio cognome il Giampiero di cui parlava non ero io, ma un altro collega, che si presentava col mio nome. Adesso Voglio parlare senza condizionamenti” – avrebbe detto Valenti. E da lì è partito un fiume in piena, con incredibili nuovi dettagli.

“Io con questa storia non c’entro proprio nulla”, avrebbe detto in lacrime. Mi ordinarono di interrompere la registrazione di Scarantino perché il collaboratore doveva parlare con i magistrati. Fu il collega Di Gangi, mio superiore, a dirmi che dovevamo staccare l’apparecchio. Quando poi smise di parlare coi magistrati, mi disse di riavviare”.

Una rivelazione pesantissima, a sorpresa, dato che ormai si sa che Scarantino, durante la finta collaborazione, aveva il numero di cellulare di alcuni magistrati. Delle telefonate sono state scoperte di recente in un archivio del palazzo di giustizia di Caltanissetta. E le bobine sono state recuperate e riversate in digitale. Cosa c’è in quei nastri? Ancora è mistero.

Palma e Petralia
Palma e Petralia – Frame TGR Sicilia

Ma, scrive Palazzolo, «si scopre che i dialoghi forse più delicati non ci sono. I dialoghi che secondo l’accusa potevano provare un accordo fra magistrati, investigatori e il falso pentito, per aggiustare le dichiarazioni sulla strage di via D’Amelio».

A Messina, intanto, sono indagati i due ex pm Anna Maria Palma e Carmelo Petralia. Per loro l’accusa è pesantissima: calunnia aggravata dall’aver favorito Cosa nostra.

“Sono stato uno stupido – dice ancora Valenti – perché non avevo alcuna esperienza. Non capisco perché questo verbale non lo firmò chi gestiva l’attività e lo fecero firmare all’ultima ruota del carro”.

“Perché non fece una relazione di servizio di quella richiesta illecita?”, hanno chiesto gli avvocati di parte civile Pino Scozzola e Rosalba Di Gregorio. “All’epoca, non mi sembrò una cosa illecita – replica Valenti – a chi dovevo fare una relazione di servizio? Al mio ufficio, che mi aveva chiesto di staccare quella intercettazione?”.

Sono stato messo nel tritacarne per tre anni, la mia vita è stata distrutta, mi accusavano di essere uno dei depistatori, e invece non c’entravo nulla con questa storia. Oggi ho detto quello che sapevo”. 

Il muro dell’omertà di Stato sembra stia crollando, a poco a poco. Il poliziotti Di Gangi, accusato prima da Scarantino e ora pure da Valenti, solo un mese fa aveva risposto al pm Luciani con una lunga sequenza di “non ricordo”.

 

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