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Di Matteo, dalla strage di via d’Amelio al processo Trattativa. Una vita dedicata a Palermo

giovedì 16 Marzo 2017

Un pezzo di storia lascerà Palermo. È questo il pm Nino Di Matteo per gli uffici giudiziari palermitani. Dopo 18 anni il magistrato lascerà la Procura per trasferirsi alla Superprocura della Dna voluta dall’attuale procuratore nazionale Franco Roberti ma continuerà a seguire il processo sulla Trattativa Stato-Mafia. A causa della sua attività, Di Matteo è sotto scorta dal 1993 quando ancora era sostituto procuratore alla Dda di Caltanissetta.

 

Il suo ingresso in magistratura è datato 1991. Erano gli anni dello scontro frontale tra Cosa Nostra e le istituzioni e fu in questo contesto che Di Matteo curò una parte fu uno dei pubblici ministeri che ascoltò le dichiarazioni del falso pentito Vincenzo Scarantino. “Nei primi interrogatori abbiamo ritenuto che le dichiarazioni di Scarantino fossero genuine. Solo dopo abbiamo intuito che fossero inquinate”, disse il pm interrogato in aula. Nel 1999 poi il trasferimento a Palermo e l’inizio delle indagini sulle stragi di mafia in cui sono stati uccisi Giovanni Falcone e Paolo Borsellino e gli agenti delle rispettive scorte, oltre che sugli omicidi di Rocco Chinnici ed Antonino Saetta; Per l’omicidio Chinnici ha rilevato nuovi indizi sulla base dei quali riaprire le indagini e ottenere in processo la condanna anche dei mandanti, riconosciuti in Ignazio e Antonino Salvo, mentre per l’omicidio Saetta otteneva l’irrogazione del primo ergastolo per Totò Riina.

Nel corso della sua carriera si è più volte occupato dei rapporti tra cosa nostra ed alti esponenti delle istituzioni. Ha istruito il processo a carico dell’ex prefetto Mario Mori e del colonnello Obinu per la mancata cattura di Bernardo Provenzano, finito con l’assoluzione dei due imputati. Si è occupato anche dell’omicidio del giovane collaboratore del Sisde Emanuele Piazza e di quello di Pio La Torre.

 

Riina - LorussoNell’ambito del processo Mori-Obinu fù resa pubblica la minaccia di morte da parte del boss Totò Riina, intercettata dalla magistratura durante una conversazione privata in carcere con un altro recluso: «A questo ci devo far fare la stessa fine degli altri». In seguito alle minacce ricevute Di Matteo è stato sottoposto ad eccezionali misure di sicurezza (compresa l’assegnazione del dispositivo Bomb Jammer, annunciate alla stampa dallo stesso ministro dell’interno Angelino Alfano nel dicembre 2013, elevando il grado di protezione al massimo livello. Il giudice ha rifiutato però l’uso offertogli di un mezzo blindato Lince, a suo avviso “un carro armato” a tutti gli effetti, non adatto a circolare in un centro abitato.

L’assegnazione del bomb jammer non sarebbe tuttavia stata seguita dall’effettiva disponibilità di un simile accorgimento, secondo il movimento spontaneo di “Scorta Civica”, di cui fanno parte cittadini appartenenti a diverse associazioni antimafia che hanno promosso l’iniziativa del presidio permanente di fronte al Palazzo di Giustizia a Palermo (e in diverse altre manifestazioni in varie piazze italiane) proprio per sensibilizzare l’opinione pubblica sui gravi rischi che corrono quotidianamente i pm come Nino Di Matteo.

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