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Enzo Basso, giornalista-editore di “Centonove”, si difende con un articolo

giovedì 2 Novembre 2017

Enzo Basso, giornalista ed editore di Centonove, accusato di bancarotta fraudolenta,  sulla base di un’inchiesta che riguarda la gestione della testata si difende con un articolo, spiegando ai lettori le sue verità circa il provvedimento giudiziario che lo riguarda.

L’incipit dell’articolo: “Rare volte mi è successo nella vita di leggere un cu­mulo di imprecisioni quali quelle riportate nel­l’ordinanza firmata dal Gip che ha autorizzato il mio arresto. Si arresta una persona quando c’è la possibilità che reiteri il reato, il pericolo di fuga o la possi­bilità che lo stesso inquini le prove. Nessuna di queste cir­costanze ricorre nel mio caso”.

Forte attacco al provvedimento giudiziario:“Lo spieghi ai suoi magistrati, se ne ha voglia, il procuratore generale Vincenzo Barbaro. Ma a leggere quello che scrive Germano Garofalo, un Ct, acronimo che sta per consulente tecnico di parte, qualche perplessità nella sua ricostruzione dei fatti sorge. Da un paio di anni a questa parte il signor Germano, su input di An­tonio Carchietti, spulcia tutto quello che ho fatto negli ul­timi 24 anni, come giornalista-imprenditore dell’editoria. E mischia fatti di vent’anni fa, con vicende di quindici anni fa e si presenta invece con un mandato limitato agli ultimi cinque anni. Per arrivare poi a una conclusione catastrofista: sarei un giocoliere che fonda società e poi le dissangua per non pagare i possibili creditori”.

E poi continua. “Tre cose: nessuna banca ha conti aperti con il signor Basso. Tutte le esposizioni, fino a prova contraria, sono az­zerate. Pende solo una causa per usura da me intentata a due istituti di credito per la quale un consulente, che presta servizio anche per il Tribunale di Patti, ha ravvisato negli estratti conto societari usura e anatocismo per più di cen­toventimila euro. Poi. Io sono stato amministratore di Edi­toriale Centonove dal lontano 1992. La società è stata messa in liquidazione tre anni fa. Nel 2008, a seguito della crisi più generale, non solo dell’editoria, è stato fatto uno scorporo aziendale, affidando a due cooperative, Kimon ed Eveneto, la gestione di due rami di impresa, uno giornali­stico, l’altro di servizi. Le problematiche fiscali, su tasse e credito di imposta , sono oggetto di cause pendenti, non ancora definite nei gradi di giudizio. L’accusa che mi si muove è quella non di “bancarotta fraudolenta”, come hanno strombazzato veloci tutti i giornali, ma “bancarotta impropria”. Che cos’è? Un neologismo giuridico. Tradotto, significa che io avrei danneggiato me stesso. Non ho pre­sentato decreti ingiuntivi contro una cooperativa di soci-giornalisti, Kimon, cui Editoriale Centonove, con relative tasse versate, ventiseimila euro, ha ceduto, con atto notarile pubblico registrato, la testata Centonove che non riuscivano a pagare per quanto contrattualmente pattuito”.

Basso parla di “disegno criminoso”  e del fatto chemai un euro sia stato erogato a favore della cooperativa in og­getto, Kimon”.

Parliamo di geografia: non c’è mai stata una “unica di­rezione aziendale”, ma tre diverse società, con diversi dipendenti, tutti assunti con regolari contratti, in tre diversi appartamenti dello stesso stabile: a confermarlo, per sfortuna di questi improv­visati detective delle tasse, ci sono i contratti registrati, persone assunte in carne e ossa, contributi e tasse versate. Problemi, sì, tanti. Ma solo quelli che capitano a chi non ruba e non prende tangenti o non fa il giornalista-leccaculo di professione”.

E si riferisce al finanziamento Ircac. “Si scrive sul nulla per una ventina di pagine. Un semplice fatto: il finanziamento non è mai stato erogato, mancava la fidejussione. Una cosa ora il Tri­bunale di Messina è riuscita a inaugurarla: si processa chi fa im­presa e chi si difende dalla crisi anziché chiudere bottega. Se è vero che mi chiamo Enzo Basso e devo qualcosa ai miei lettori-estimatori, oltre che ai miei familiari, posso garantire che io una lira o un euro, visto che si parte da lontano con le indagini, indebitamente, in tasca non l’ho mai preso”.

Poi aggiunge. “Riepilogando. Una persona indagata riceve almeno un avviso di garanzia: io non l’ho mai ricevuto. Semplice dimenticanza? Se sono stato sentito, e ho offerto la massima collaborazione documentale, avrei avuto diritto a un contraddittorio: mi pare di capire che il Ctu, si sia mosso con una idea preconfezionata, dimenticando che le piccole e medie imprese sono al 90% il tessuto connettivo dell’economia italiana, di chi paga le tasse e tiene ancora in piedi questo sgangherato sistema, giustizia com­presa”.

Proviamo a fare un esercizio inverso – conclude – Anziché dire che non avrei pagato tasse più del necessario, qualcuno faccia fare il saldo complessivo inverso: quanto ho versato al fisco negli ultimi 24 anni della mia vita? Partendo da un dato di fatto sul quale amerei essere smentito da chi guadagna settemila euro al mese: che oggi io i miei soldi li ho bruciati tutti nelle aziende, per tu­telare libertà di stampa e di pensiero. Perché ci credo e ci ho creduto. Magari, prima di tentare maldestramente di uccidere le imprese e la dignità delle persone, si scopre un’altra, più sco­moda verità?

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