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I disturbi della sessualità sono il risultato di violenze subite nell’infanzia?

venerdì 31 Agosto 2018

Nel 1981 il IV Colloquio Criminologico di Strasburgo del Consiglio di Europa, ha definito la violenza ai danni dell’infanzia come “quell’insieme di atti e carenze che turbano gravemente il bambino attentando alla sua integrità corporea e al suo sviluppo fisico, affettivo, intellettivo e morale, le cui manifestazioni sono: la trascuratezza e/o lesioni di ordine fisico e/o psichico e/o sessuale da parte di un familiare o di altri che hanno cura del bambino”.

La violenza su di un bambino, afferma Bru, non è soltanto un’infanzia violata, ma qualcosa di molto più grave e complesso, i cui effetti si ripercuoteranno per tutto l’arco della sua vita. Una volta adulto, infatti, il soggetto abusato sarà, nella maggior parte dei casi, incapace di relazionarsi sessualmente e affettivamente in maniera sana.

La violenza si verifica all’interno delle mura domestiche, agita dalle persone più vicine alla vittima che dovrebbero volere solo il bene del bambino o dell’adulto. Gli atti che si riconducono a tale forma di violenza sono moltissimi, tra questi possiamo ricordare: pressioni psicologiche, ricatti affettivi, indifferenza, rifiuto, denigrazione e svalutazione, allontanamento del bambino dal proprio contesto sociale, l’esposizione alla violenza domestica e alla conflittualità della coppia genitoriale. Sono compresi, dunque, tutti quegli atteggiamenti messi in atto dall’adulto che possono danneggiare il minore: non solo quelli di ostilità e rifiuto.

I comportamenti a rischio messi in atto, poi, dall’abusato generano ulteriori danni: disturbi della sessualità e incapacità di vivere l’intimità e relazionarsi in modo sano; dipendenze con o senza droghe (per es. da videogame, bulimia, abuso di farmaci, fumo, droghe e alcool); trascuratezza nell’igiene, etc. per cercare di alleviare le sofferenze e tenere lontano dalla coscienza tutto ciò che riguarda l’accaduto (I. Lelli). Si tratta di sofferenze (pensieri, immagini, disagi) di cui il soggetto non ha consapevolezza e di ricordi rimossi e negati.

Come afferma C. Ventimiglia, l’aver subito da parte delle figure di accudimento maltrattamenti, abusi o violenze fisiche e psicologiche, l’aver vissuto rapporti anaffettivi e di deprivazione, assenze relazionali, stati d’abbandono, vuoti di identificazione significativa, comporta degli effetti e delle difficoltà nell’elaborazione dei vissuti di tali esperienze. Si genera nel soggetto molta confusione e non può mettere ordine dentro di sé, riconoscere ed etichettare i propri sentimenti, le proprie emozioni (alessitimia).

La seconda fase della risposta sessuale umana corrisponde all’eccitazione, comprendente eventi che si generano a livello cerebrale (come la percezione di particolari profumi o la visione del partner in determinati abbigliamenti) e/o a livello periferico (stimolazione zone erogene). La condizione che ne deriva è prettamente soggettiva e corrisponde, in condizioni normali, all’erezione maschile e alla lubrificazione vaginale nella donna. In presenza di un disturbo dell’eccitazione sessuale che provoca inappetenza vengono a mancare tutte le sensazioni mentali associate al rapporto sessuale (mancano sia le sensazioni che le risposte fisiologiche). La risposta fisiologica all’eccitazione potrebbe essere presente e giudicata dal soggetto come intrusiva e non ricercata né desiderata ma, anzi, evitata.

Esiste una stretta correlazione fra schemi disfunzionali e disfunzioni sessuali. Questi schemi riguardavano non solo la sessualità, i rapporti e gli stimoli sessuali ma anche la personalità e il comportamento del soggetto impedendogli di rispondere positivamente agli stimoli (A. Westerlund).

La caratteristica del disturbo da avversione sessuale è che il soggetto che ne soffre è totalmente inibito nella prima fase della risposta sessuale, quella del desiderio. Si prova una persistente e ricorrente avversione nei confronti della sessualità e si mette in atto qualsiasi strategia pur di evitare qualunque forma di intimità e contatto con il partner. Si può parlare di una vera e propria risposta di tipo fobico a qualsiasi stimolo e stimolazione di natura sessuale: sensazioni, pensieri, sentimenti riguardanti o associati alla sessualità scatenano nell’individuo un senso di panico con conseguente repulsione verso l’atto in ogni sua forma. L’impatto che tale quadro patologico ha sulla vita del paziente è indubbiamente invasivo, provocando grandi difficoltà, disagio, sofferenza, rabbia, negazione che può trasformarsi in odio e aggressività nei confronti del partner (I. Lelli).

Il soggetto finisce per chiudersi nella propria dipendenza che occupa la maggior parte del suo tempo e dei suoi pensieri.I comportamenti additivi rappresentano un tentativo disfunzionale di contrastare l’emergere incontrollato di un’esperienza traumatica subita nell’infanzia (S. Peele).In generale, in questi soggetti si rileva una profonda incapacità nel riconoscere le proprie emozioni, nel mentalizzare i propri bisogni che portano a una disorganizzazione nel prendersi cura di sé o degli altri rivelandosi estremamente pericolosi e dannosi.

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