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Il grano siciliano da riscoprire e valorizzare. Intervista a Margherita Tomasello

mercoledì 18 Aprile 2018

Il grano siciliano da valorizzare. Il grano siciliano da riscoprire. Il tessuto economico siciliano legato all’agricoltura e alla produzione del grano duro siciliano si muove e si agita, ormai da tempo, su un fronte che è diventato sempre più variegato con la pesante e pressante importazione di grani da altri Paesi, Canada, Francia e Turchia su tutti.

Negli ultimi anni il grano ha subito parecchie variazioni nella qualità ed oscillazioni nei prezzi visto che si cerca continuamente di trovare grani che possono offrire specifiche di alta qualità, come una percentuale di proteine elevate. Margherita Tomasello, imprenditrice, vice presidente di Confcommercio Palermo, è una delle più qualificate voci siciliane sul tema giacché per anni ha guidato con la sua famiglia l’omonimo pastificio di Casteldaccia, nato nel 1910.

Qual è la situazione attuale nella coltivazione e nel commercio del grano in Sicilia?

“Il grano duro costituisce un comparto di primaria importanza nell’ambito dell’agricoltura siciliana e rappresenta il seminativo largamente più utilizzato nelle culture. Nell’Isola la superficie a frumento duro ha attraversato nell’ultimo ventennio una fase di progressiva flessione. Queste flessioni sono causate da una politica comunitaria assolutamente inadeguata e dalla chiusura di aziende di trasformazione del comparto.  Pur avendo subìto importanti contrazioni pari a poco meno del 40%, le zone interne della Sicilia continuano a rappresentare ancora le aree in cui si registra la maggiore concentrazione delle imprese di selezione e commercializzazione delle sementi. La commercializzazione del grano duro, in Sicilia, passa attraverso i centri di stoccaggio, che possono essere considerati l’anello di congiunzione tra la fase agricola e la fase industriale. Spesso sono strutture a gestione privata o associata.  Strutture che troppe volte determinano addirittura il prezzo del grano per le aziende di produzione, perché una volta comprato il grano dagli agricoltori, e quindi ammassato, spesso si gioca al rialzo tenendolo dentro i silos, aspettando, guardando i prezzi degli altri mercati, insomma, una vera e propria speculazione a danno non solo dell’agricoltore il quale ha venduto certamente ad un prezzo molto basso, ma anche dell’azienda e poi per finire del consumatore”.

Di quanto grano ha bisogno la Sicilia per soddisfare le esigenze richieste dal mercato nell’Isola?

“La Sicilia è la seconda regione italiana, dopo la Puglia, per superficie investita a grano duro e contribuisce con più del 16,5% del prodotto nazionale. Secondo i dati del V Censimento generale dell’agricoltura le aziende siciliane che praticano la coltivazione del grano duro sono 71.785. Esse, con una superficie investita di 331,627 mila ettari pari al 26% della SAU regionale, rappresentano il 19,56% delle aziende agricole regionali ed il 45,15% delle aziende a seminativo. Tutto questo sottolinea ulteriormente l’importanza territoriale che la coltura assume nell’Isola. Purtroppo, come dicevo prima, si è verificata una forte flessione, dovuta non solo a leggi europee inutili ed a volte dannose ma anche all’immissione di grani esteri che spesso entrano in grande competizione con i nostri grani”.

Da tempo gli agricoltori lamentano in genere gli scarsi profitti sulla vendita del grano italiano, ma la situazione non è migliore in Sicilia.

“Francamente sono un po’ stufa di sentire sempre le solite lagne sulla perdita del costo del grano. In questo mi sento di essere parte critica nei confronti dei nostri agricoltori con i quali spesso si è discusso della situazione del commercio del grano. Purtroppo come avviene in Sicilia si parla molto ma poco si riesce a concludere. Se solo potessero iniziare a industrializzare e quindi non più subire commercianti o consorzi regolati da terze parti, certamente potrebbero decidere loro l’andamento del prezzo del grano e quindi accorciare le filiere in modo adeguato e certamente più economico per il consumatore e più remunerativo per loro. Basterebbe eliminare la parte del commerciante e chiudere la filiera del commercio in tre fasi: agricoltore, industria, consumatore. I piccoli agricoltori lo stanno già facendo con un lavoro egregio sui grani antichi siciliani valutandoli a prezzi forse un po’ troppo alti per le caratteristiche organolettiche che hanno, ma certamente più controllati in termini di sicurezza alimentare. Pensate se questo si facesse con tutti i grani siciliani. Saremo chiamati nuovamente il granaio d’Europa”.

Si parla tanto di importazione del grano e di controlli sui grani utilizzati per i prodotti che arrivano nelle nostre tavole, possiamo dare chiarimenti ed eventualmente rassicurare i consumatori sui controlli?

“So di certo che finalmente questo governo sta attuando politiche di controllo più stringenti per le navi di grano che arrivano dall’estero. E’ chiaro che il grano che arriva ammassato dopo mesi di navigazione è soggetto alla formazione di micotossine. Ancor peggio è la presenza di glifosato esistente nelle culture dei paesi del Nord America che sembrano essere dannose per il nostro organismo. Allora a maggior ragione non dovremmo dubitare nel dover consumare pasta siciliana o almeno prodotti dove è specificata la produzione così come richiesto ormai con il Decreto Ministeriale 26 luglio 2017 il quale prevede che le confezioni di pasta di semola di grano duro prodotte in Italia riportino l’indicazione geografica del paese in cui il grano è stato coltivato e quella dove esso è stato macinato. Infatti in etichetta potrà essere indicato il nome del paese in cui viene coltivato almeno il 50% del grano utilizzato. Per la parte restante sono previste le diciture “altri paesi UE”, “altri paesi non UE” o “altri paesi Ue e non UE”, a seconda dell’origine del grano. Certo il 100% del prodotto siciliano sarebbe ancora meglio”.

Un argomento che sta a cuore è il grano duro siciliano che ormai si vuole valorizzare. Cosa stanno facendo i produttori in Sicilia per la promozione e la valorizzazione del grano?

“Devo dire che finalmente c’è una certa attenzione perché è stata richiesta direttamente dal consumatore. Infatti ormai le notizie sulla buona e sana alimentazione sono di dominio pubblico ed anche la pasta, principale attrice di un buon pranzo, ha bisogno di essere collocata nel migliore dei modi. Purtroppo stiamo arrivando in ritardo e  le aziende devono attrezzarsi dal punto di vista del marketing e della comunicazione, non si deve puntare più sul prezzo e sulla quantità, ma sulla qualità e la buona comunicazione nutrizionale. Anche in questo la grande distribuzione non aiuta svilendo spesso i prodotti locali con campagne sotto costo e prezzi di acquisto molto bassi. Anche qui la carenza di chiare leggi del commercio ha penalizzato le aziende che, pur di vendere il prodotto, sono costrette a tagliare sui servizi e spesso anche sulla qualità. Però è certo che il prodotto artigianale sta avendo un’attenzione importante sia in termini di qualità che di quantità. La Sicilia dovrebbe scommettere in questo comparto così come ha fatto con il vino che ormai è diventato un punto di riferimento sia in Italia che all’estero. Sono certa che con buona volontà e amore per il prodotto si potrà arrivare a traguardi importanti per tutto l’intero comparto agricolo e con grande soddisfazione del consumatore che finalmente potrà essere certo di mangiare pasta prodotta nella sua terra e di grande qualità”.

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