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Il maggio palermitano sa di gelsi e zagara

domenica 21 Maggio 2017

Il maggio palermitano sa di gelsi e zagara. C’è il caldo tiepido che fa da overture all’estate. Chissà se in questo pezzo di cielo c’erano le nuvole 25 anni fa? Perché il cielo in Sicilia non cambia mai e neanche il vento di scirocco. Che quando soffia è duro come pietra lavica. E cadono come fiori di ciliegio, lenti ed inesorabili nella loro immortale giovinezza. Si poggiano sulla terra senza far rumore nonostante il boato e il fragore attorno. È un viaggio che ritorna sempre uguale e che ci narra l’eccezionalità di alcune vite. Ed è la storia di Antonio Montinaro, Vito Schifano e Rocco Dicillo, gli agenti di scorta di Giovanni Falcone e Francesca Morvillo.

A Palermo torna la “Quarto Savona 15”, la Croma in cui persero la vita in quel lontano pomeriggio del 23 maggio ‘92. Un monumento alla memoria che in questo momento storico tuona come un monito per le nostre coscienze. Uno schiaffo di ruggine e storia alla retorica dell’antimafia di facciata, frammentata, litigiosa e a tratti arrivista.

Lamiere e sangue che ci ricordano la nostra inadeguatezza, la nostra malata necessità di non alzare mai la testa per poi indignarci col coraggio delle pecore quando osservano un leone in gabbia. Io non so se questa terra meriti il ritorno  della Quarto Savona 15, se è pronta a guardarsi dentro per scoprire l’orrore che è stata capace di partorire. Non so se le lamiere contorte della storia ci ridaranno lo slancio per provare ad essere migliori. Per superare l’indignazione ad orologiera che ci prende all’improvviso per poi lasciarci andare un attimo dopo.

Non so se saremo mai capaci di provare un profondo senso di ribrezzo per chi si erge a paladino della giustizia per poi svelarsi nella sua meschina nudità politica e umana. Non lo so, perché sono tempi bui, in cui anche Cuffaro che paga il suo prezzo con la giustizia diventa un eroe. In cui la politica deve andare a barattare voti e potere con la mafia. In cui tutto si confonde e si nasconde nel pulviscolo del malaffare.

E allora mi prende quello sconforto generazionale, direi gattopardesco, per certi versi ruvido, dogmatico. Ma poi penso alla nuova generazione, ai nostri figli che forse hanno il diritto di conoscerla la loro storia e di decidere da che parte stare. Magari loro saranno migliori di noi. Ecco perché è giusto che l’ultima dimora di Antonio, Vito e Rocco torni a Palermo.

Ecco perché tutti dovremmo andare ad accogliere questo monumento e ascoltare in silenzio il sacrificio di questi uomini dello Stato che, per coraggio e dedizione, sono stati capaci di superare lo Stato stesso.

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