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Il Ponte sullo Stretto è la nuova tela di Penelope, tra benaltristi e maestri del rinvio

lunedì 8 Agosto 2022

Puntuale come un orologio svizzero e come la dieta del lunedì, con l’inizio della campagna elettorale è tornato il Ponte sullo Stretto. Non che fosse scomparso del tutto per la verità, ma adesso è stato nuovamente inserito tra le priorità del programma del centro destra. Peccato che, al di là di ogni considerazione, si dovranno fare i conti con la strategia del gambero e l’arte del rinvio che su questo tema più di ogni altro ha avuto la meglio in questo mandato elettorale.

Con il Conte II e il governo Draghi si sono fatti più passi indietro che in tutti gli ultimi decenni, che pure hanno evidenziato come il karma del Ponte sia particolarmente sfortunato.

Sul fronte Ponte infatti il percorso dei governi dal 2018 ad oggi si è chiuso così com’è iniziato: non c’è più solo il club dei sì e quello dei no, ma il variegato club del “sì ma non ora, sì ma c’è ben altro da fare prima” e via dicendo con varie sfumature. E’ il fronte del sì-virgola, là dove dopo ogni virgola ci sono tutti i no mascherati con alibi e ipocrisie.

Il sipario si è chiuso infatti nei giorni scorsi con la bocciatura, per soli 6 voti, dell’ordine del giorno presentato da Matilde Siracusano, con il quale si chiedeva al governo di stoppare l’ennesimo studio di fattibilità in questo caso affidato ad Rfi per la bellezza di 50 milioni di euro, come ha contestato Nino Germanà, tra le varie soluzioni ed il cui esito si avrà nella seconda metà del 2023…….

La proposta è stata bocciata da Pd e 5Stelle mentre il centrodestra si è presentato compatto. Non è solo una questione di risparmio. Lo studio infatti è figlio di uno degli innumerevoli strumenti di rinvio, la Commissione ad hoc, voluta dall’allora ministra Paola De Micheli (Pd, governo giallorosso) per far chiarezza sulle ipotesi sul tappeto. Già, perché nel frattempo era spuntata, durante il Conte I, la strampalata ipotesi del tunnel sotto lo Stretto, sposata da Giancarlo Cancelleri e dallo stesso Conte. Così alle varie posizioni dei no ponte, il M5S ha offerto un assist insospettabile: una proposta sicuramente fantasiosa ma poco realizzabile.

Tant’è che strada facendo si è ristretto il campo. La ministra De Micheli, per non affondare subito il Ponte dal momento che anche all’interno del suo partito c’erano e ci sono favorevoli (ma solo al Sud…..), colse la palla al balzo per creare una Commissione e perdere almeno sei mesi di tempo. Ci mise anche del suo, aggiungendo l’idea di una memorabile “pista ciclabile” tra le due sponde, da affiancare, si presume, alle corsie del Ponte destinate a treni e mezzi.

Nel frattempo passavano i mesi e il ministero passò a Giovannini. I parlamentari del centrodestra non si erano arresi e hanno continuato a presentare sollecitazioni ma non è servito a nulla perché con il ministro Giovannini l’opera è caduta dalla padella alla brace, complice anche l’esito dell’analisi della Commissione. Dal cilindro del ministro è venuta fuori quindi l’esigenza impellente di un  nuovo studio di fattibilità su 3 ipotesi: Ponte a una campata, Ponte a più campate (tre) e tunnel. Quest’ultima soluzione è stata subito accantonata e adesso pare che l’attenzione sia sulla proposta a tre campate.  In sostanza il vero nocciolo, come confermato dall’ad di Rfi Vera Fiorani è che lo studio sarà solo sul progetto a tre campate, perché, come ha dichiarato il ministro Giovannini quello a una campata deve solo essere aggiornato.

Il fatto che decenni di studi e verifiche nonché un iter concluso hanno portato al progetto ad una campata per il Ponte è diventato agli occhi del governo “invisibile”, ininfluente, al cospetto di un nuovo grande assist: l’ennesimo rinvio. Perché mai l’ipotesi a tre campate, già in passato scartata per una serie di criticità legate alla realizzazione e la necessità di compiere studi e sondaggi in fondo al mare sia uscita dalla porta e rientrata dalla finestra, resterà un mistero.

Il Ponte è diventato come la Tela di Penelope che di giorno tesseva e durante la notte disfaceva. Con la differenza che quest’operazione avviene alla luce del sole ed in barba alla volontà delle popolazioni interessate ed a favore degli interessi di altre regioni. I soldi tolti al Ponte infatti finiscono al Nord. Non finiscono affatto in “altre opere infrastrutturali necessarie alla Sicilia” come amano dire i “benaltristi”.

Basterebbe ad esempio solo quanto dichiarato dal ministro Giovannini a Messina in primavera a proposito di “imminenti interventi nello Stretto” per potenziare la presenza delle Ferrovie che ancora non sono stati effettuati (se ne parla in autunno).

Per non parlare poi di alta velocità o persino di dimezzamento dei tempi di imbarco dei treni a bordo delle navi tra Messina e Villa San Giovanni.

Così, mentre si spendono altri 50 milioni e mentre, con la scusa del rinvio neanche un euro del PNRR andrà all’opera (nonostante UN PROGETTO GIA’ PRONTO) e mentre anche l’Europa più volte si è espressa a favore, governo e Parlamento sono ben lieti di non decidere. Nel mezzo, negli ultimi mesi, sono andate in scena vere e proprie acrobazie anche semantiche per “affondare” il Ponte, con sofismi al limite dell’ipocrisia. E si è arrivati al punto che il sindaco di Milano, Beppe Sala, nel commentare i dati dell’occupazione in crescita e le misure del governo Draghi con il decreto Aiuti ha detto: “Preferite la credibilità concreta di questo governo o le proposte inutili se non dannose come il Ponte sullo Stretto?” Il buon Sala nel frattempo si sta dividendo, insieme alle altre regioni del Nord (Veneto, Piemonte, Lombardia, Trentino Alto Adige) una fetta di quasi un miliardo e mezzo di euro per le Olimpiadi invernali del 2026.

Un po’ di sano campanilismo gioverebbe anche ai nostri rappresentanti alla Camera e al Senato perché non è affatto vero che mettendo il Ponte al terzo o quarto posto tra le priorità ci arrivino i soldi per le infrastrutture che ci mancano.

Il Pnrr ha destinato al sud non soltanto meno di quello che ci spettava ma le risorse arriveranno per progetti già finanziati sotto altri capitoli. E’ stata solo cambiata “l’intestazione” nei fascicoli.

Più dei no pontisti, che sono comunque coerenti, leali nella battaglia e chiari, dobbiamo guardarci dai “sì-virgola” perché dopo quella virgola spunta la tela di Penelope che un giorno si chiama “Commissione ad hoc” un altro “studio di fattibilità”, domani si chiamerà “tavolo tecnico” e poi ancora tunnel sottomarino con ascensore panoramico oppure Ponte a 10 campate, ma sono solo strumenti per non farlo.

Come si direbbe su facebook: “Dimmi che sei no ponte senza dirmi no al Ponte”.

 

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