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“Il resto di Sara”: storia corale di donne tra luci e ombre, nata in riva allo Stretto

domenica 20 Marzo 2022

Tutta la vita in una notte. Anzi, tutte le vite in una lunga notte, quella che vedrà la protagonista parlare attraverso i ricordi degli altri. Già, perché Sara, in quelle lunghissime ore di attesa tra i corridoi dell’ospedale Papardo di Messina, è in sala operatoria. Il “Resto di Sara” (Arkadia edizioni), ultimo romanzo della giornalista Valeria Ancione, è una storia corale come in fondo lo è la vita di tutti noi.

Sara, investita da un’auto mentre è in Vespa e sta per rientrare a casa, viene portata all’ospedale Papardo e lotta tra la vita e le morte. La storia si snoda in quelle ore racchiudendo l’arco di oltre vent’anni in cui parenti, amici, innamorati, figli, ma anche sconosciuti, come l’infermiera Nenzi, diventano protagonisti del libro e di un pezzo del puzzle che è la vita di Rosaria, detta Sara. Tranne in alcuni casi, quasi tutti i personaggi del libro, vengono chiamati con nomignoli derivati dal nome, così come avviene in Sicilia.

Il tempo è sospeso in un luogo al confine tra l’inizio e la fine della vita e Sara diventa concreta nei ricordi che agitano tutti gli altri mentre passato e presente scorrono nel cuore di chi è seduto in attesa. Come accade quando ognuno di noi è alle prese con la paura che chi amiamo stia andando via per sempre, riaffiorano pentimenti, amori dolorosi e nascosti, o improvvise scoperte di sentimenti che sembravano dimenticati. Ci scopriamo nudi e spaventati. “Perché non le ho detto…..” oppure “perché le ho detto….”, “avrei potuto dirle….”.

In quei momenti vorremmo portare indietro le lancette dell’orologio al tempo in cui tutto è ancora possibile. Anche perdonare o essere perdonati.

Sono le vite degli altri intrecciate a quella di Sara i veri protagonisti di un libro nato in riva allo Stretto e che ha come palcoscenico Messina, città di mare e salsedine, di granita e brioches, di sole accecante e di scogli, di case divorate dall’umidità e che diventano rifugio dal mondo.

E’ un romanzo che dipinge anime al femminile. Ci sono tutte le figure femminili, dalla donna che sa essere sé stessa solo attraverso gli occhi degli altri a quella che si rifugia nella religione e negli altri per non accettare la sua omosessualità. C’è chi la scopre quell’omosessualità e la assapora come un dono. Ci sono figure di madri, sorelle, amanti, figlie che non sono mai tutte nere o tutte bianche. Ci sono invidie, rancori, tradimenti, ma anche piccole storie luminose come una spiaggia d’estate.

Mentre il marito, la madre, le amiche, corrono in ospedale, il caso porta in quelle corsie anche altri personaggi, come l’infermiera del 118 Nenzi,  che ha soccorso la donna al momento dell’incidente. Per lei la vita di Sara da salvare è un modo per superare la grande ferita che i lutti irrisolti lasciano aperta. Nenzi che parla in cucina con la padella invece che alla persona che non è riuscita a salvare, proprio lei, che lavora al 118, è un’immagine di poesia e amore.

Valeria Ancione, giornalista del Corriere dello sport nata a Palermo ma cresciuta a Messina, ha scritto una storia corale che invita a super pregiudizi e stereotipi. Quegli stessi pregiudizi che da cronista sportiva ha incontrato nella professione. Il libro precedente, “Volevo essere Maradona”, è la biografia di Patrizia Panico, calciatrice ed allenatrice, pubblicato in un periodo, quello dei mondiali di calcio femminile, in cui con faticosamente quella realtà provava ad uscire da una concezione da serie B.

Adesso Valeria Ancione ci racconta una storia in cui le protagoniste non sono perfette, ma sono dolorosamente vere. Tutte, da imperfette, sanno di avere la forza di poter ricominciare ogni giorno.

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