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Il tema delle donne dell’Est e la nostra demagogica indignazione quotidiana

giovedì 23 Marzo 2017

Ogni tanto in Italia abbiamo bisogno di indignarci per poi ritornare a mettere la testa sotto la sabbia. Alle lacrime di coccodrillo di Raiuno, seguono quelle al silicone della Perego che all’improvviso diventa paladina delle donne. Pianti e scenate trash, come la spazzatura che ogni giorno ci propina questa televisione incolta e populista.

Ma attenzione, la colpa è solo nostra e si può rintracciare nelle scelte che facciamo ogni giorno. Purtroppo non accendo il televisore da 10 anni, mi capita spesso di sentirmi fuori dal mondo. Non conosco i palinsesti che ogni giorno ci impongono. Non so come sono arrivata a questa scelta, che la maggior parte delle persone che conosco mi imputa come folle e dissennata. E forse, per capire il nostro Paese e il mondo sarebbe opportuno accenderla quella scatoletta piatta, ma la mia è una chiusura totale. Insomma è più forte di me.

Eppure, tutto appare assolutamente ovvio, lapalissiano, a tratti noioso. Ed è la nausea culturale, di sartriana memoria, che muove questa macchina da guerra. Un carro armato contro la libertà di critica, d’espressione. E non è difficile intuire come il tema delle donne dell’est sia solo la punta di un iceberg dell’imbarbarimento della nostra ragione. La macchina da guerra della comunicazione non può sbagliare e quando lo fa, lo fa consciamente. Forse serviva sollevare il polverone del sessismo parlando a quella maledetta pancia degli italioti che si professano aperti e accoglienti, ma che in fondo quelle cose le pensano davvero. L’altro che arriva da noi prendendo tutto, il barbaro che ci toglie il lavoro, l’amore, la bellezza.

Quel tema è riuscito a toccare le corde più intime della nostra demagogia quotidiana, intrecciandosi con le nostre paure e chiusure ataviche. E il carro armato lo sapeva che avrebbe invaso una piazza che non avrebbe opposto resistenza. Lo sapeva che sarebbe stato accolto nel silenzio dell’approvazione. Quella piazza è la stessa che piange davanti alla busta della De Filippi, che dirige il proprio ascolto tra le beghe di uomini e donne che cercano l’amore in tivvù, che prende per “verissimo” le vite dei protagonisti delle isole e degli appartamenti del grande fratello. Che si stiracchia dinanzi a Giletti e si inebetisce con le storie di Tristano e Peppa, e che poi si salva la coscienza guardando Le Iene o roba simile. Insomma, che vi arrabbiate a fare? In fondo questa televisione è ritagliata su misura per voi. Un abito che vi calza a pennello, che vi fa sentire importanti che vi permette di sognare e vi dà l’illusione di essere protagonisti di questa struttura virtuale che ricalca le peggiori regole del mercato.

Di fatto, è come guardare il calcio per passione pur sapendo che a muoverlo sono solo i quattrini, i piccioli, i vaiini. Che vi aspettate da quella scatola colma di attori da strapazzo? Siamo perfino capaci di trascorrere una settimana con le orecchie spalancate ad ascoltare la musica che le agenzie post Sanremo ci vendono spacciandola per buona. Ed eccoci tutti Occidentalis Karma, canzonetta diventata inno nazionale della nostra mediocrità. Basta veramente poco per farci sentire un unico popolo, la forza della banalità che ci accomuna tutti da nord a sud. Né Garibaldi e né Cavour avrebbe potuto fare di meglio. E il re della comunicazione che l’Italia ha votato per vent’anni lo sapeva benissimo, sapeva che anche la Rai si sarebbe accodata al volere del suo popolo. Ergo, mettete la televisione in cantina o in soffitta, volgete lo sguardo al mondo reale. Ma attenzione è pericoloso, potreste accorgervi che la bellezza vera passa dall’umanità, da quel profondo senso di appartenenza al genere umano. Che strane creature siamo, vero?

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