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La mafia investiva nel caffè, asse fra Milano e Palermo: sei arresti all’alba

lunedì 13 Maggio 2019
finanza

Un asse tra Milano e Palermo per controllare la produzione e la distribuzione di caffè. E’ l’ultima frontiera della mafia, che aveva deciso di investire sul caffè. Stamattina all’alba sono scattati sei arresti eseguiti dai finanzieri del Nucleo di Polizia economico- finanziario di Palermo, in collaborazione con lo Scico-Servizio Centrale Investigazioni sulla Criminalità Organizzata.

Fra gli arrestati nell’operazione Coffee Break c’è Rita Fontana, figlia del boss Stefano, insieme a suo fratello Giovanni e ad altre quattro persone. La donna è stata ammanettata a Rozzano, nel Milanese, dove viveva da tempo.

Sono state sequestrate due società riconducibili alla famiglia Fontana, la “Cafè Moka special di Pensavecchia Gaetano e c. snc” e la “Masai caffè srl”.

L’indagine, coordinata dai pm Dario Scaletta, Amelia Luise e dall’aggiunto Salvatore De Lucaha consentito di portare alla luce una organizzazione finalizzata a gestire gli investimenti della famiglia mafiosa dell’Acquasanta- Arenella, i cui vertici – usciti di galera – si erano stabiliti a Milano.

Determinanti sono state le dichiarazioni di due pentit: Vito Galatolo e Silvio Guerrera.

Oltre a Rita e Giovanni Fontana, 30 e 41 anni, sono stati arrestati Gaetano Pensavecchia, di 58, Filippo Lo Bianco, di 54, Michele Ferrante, di 36, e Domenico Passarello, di 43.

La famiglia dell’Acquasanta-Arenella, capeggiata in passato dal boss Stefano Fontana, è stata nel tempo cruciale negli assetti di Cosa nostra palermitana, alleandosi con i Madonia di Resuttana e con Salvatore Biondo di San Lorenzo, nonchè investendo gli enormi proventi accumulati con il traffico degli stupefacenti nel settore dell’edilizia privata e nel controllo capillare e occulto dei subappalti ai Cantieri Navali di Palermo.

Le indagini hanno consentito agli investigatori di evidenziare un quadro indiziario nei confronti degli arrestati, che confermerebbe come i Fontana continuino a esercitare un importante controllo sulle attività economiche della zona.

Nel corso degli accertamenti sarebbero state isolate, in particolare, le circostanze relative agli investimenti nel settore della produzione e commercializzazione del caffè già a marchio Masai e della vendita di un immobile adibito da tempo ad attività commerciale.

In questo contesto Giovanni Fontana avrebbe investito a partire dal 2014 ingenti provviste dell’attività mafiosa della famiglia, dedita, tra l’altro, alla “pratica della riscossione a tappeto delle attività estorsive nella zona di competenza“, ammontanti ad una cifra fra i 150 e i 300 mila euro, nella società Cafe’ Moka Special di Pensavecchia Gaetano & C.snc., utilizzati per avviare una lucrosa attività di produzione e vendita di caffè e realizzare un nuovo impianto produttivo nella zona Partanna Mondello.

Giovanni Fontana avrebbe curato personalmente la remuneratività dell’investimento e per questo da Milano spesso si recava a Palermo, salvo poi delegare alla sorella Rita la riscossione del denaro mensilmente dovuto.

A sovrintendere a tale attività ci sarebbe stato Michele Ferrante, suo fedele, che in più occasioni si sarebbe impegnato a riscuotere le “mesate”, mentre Filippo Lo Bianco, contabile della società, avrebbe garantito la correttezza dei conti. Una volta accumulati ingenti debiti, l’azienda è, poi, stata posta in liquidazione per continuare l’attività con un’altra società di capitali.

Entrambe le aziende sottoposte a sequestro, operanti nel settore del caffè, devono intendersi, secondo la ricostruzione investigativa, accolta dal gip di Palermo, come “imprese a partecipazione mafiosa“, nel cui ambito Pensavecchia avrebbe intrattenuto uno stabile, ma oneroso rapporto di convivenza, giacche’ consapevole del fatto che i Fontana – come diceva nelle conversazioni intercettate – sarebbero rimasti “sempre soci” anche dopo la restituzione del capitale iniziale investito.

Pensavecchia, nel corso di una conversazione intercettata, aveva modo di affermare che “la maledizione del Signore è che siamo in società con questi“, e si mostrava assai timoroso della possibilità che i cosiddetti “spioni” (cioè i collaboratori di giustizia) potessero parlare della sua attività illecita, senza che egli potesse avere “una cosa sopra quale prestanome“.

Inoltre, nel corso delle indagini delle Fiamme Gialle del Nucleo Pef di Palermo, avrebbe dimostrato di essere perfettamente inserito nella logica mafiosa che ancora permea un certo “substrato sociale” del territorio, tanto da spiegare che ancora oggi a Palermo “ogni zona ha il suo parrino“, nonché mostrando la disponibilità a contribuire nonostante fosse conscio della “natura mafiosa” dell’azienda. 7

Altra vicenda attorno alla quale ruotano le indagini è quella della vendita di un immobile nei pressi della piazza dell’Acquasanta, per il quale Pensavecchia avrebbe fatto da “prestanome”.

In questo caso, sarebbe stato un altro fedelissimo dei Fontana ad occuparsi di recuperare 80 mila euro della vendita dell’immobile, vale a dire Domenico Passarello, “detto Mimmo”, che avrebbe fatto poi giungere i soldi riscossi a destinazione, anche attraverso Rita Fontana.

I militari del Gico del Nucleo di Polizia economico-finanziaria hanno a lungo seguito tutti gli spostamenti degli indagati, documentando i passaggi del denaro in contanti, avvenuti con modalità tali da rendere “palese come debba escludersi qualsiasi attività lecita ad essi sottesa”.

Al riguardo, il gip presso il Tribunale di Palermo, nell’emettere l’ordine di custodia cautelare in carcere, ha riconosciuto “l’oggettiva gravita’ dei fatti, maturati in un contesto di asservimento alle logiche dell’organizzazione mafiosa e di infiltrazione criminale nel tessuto produttivo e imprenditoriale del territorio: scopo ultimo di tale illecita penetrazione e’ stato quello di salvaguardare e rafforzare gli interessi economici di ‘Cosa Nostra’ attraverso il radicale stravolgimento dei principi di libero mercato e di accesso al credito grazie a ingenti immissioni di “capitali sporchi”.

Le attività di esecuzione delle misure cautelari reali e personali hanno visto impegnati oltre un centinaio di militari del Nucleo Pef di Palermo, con il supporto dello Scico di Roma, del Nucleo Pef di Milano, dei Gruppi di Milano e Palermo, e l’impegno di unità cinofile e un elicottero della Sezione Aerea di Palermo.

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