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La “verità contraffatta” sul Regno borbonico nella lettera di William Ewart Gladstone

venerdì 8 Febbraio 2019

Nel 1851, tornato da Napoli dove si era fermato per un certo tempo, sir William Ewart Gladstone scrivendo a lord Aberdeen denunciava usando un linguaggio aspro e termini fuori misura, il “regime poliziesco borbonico”. Gladstone, fra l’altro scriveva che quel “governo rappresenta l’incessante, deliberata violazione di ogni diritto; l’assoluta persecuzione delle virtù congiunta all’intelligenza, fatta guisa da colpire intere classi di cittadini, la perfetta prostituzione della magistratura […] la negazione di Dio, la sovversione di ogni idea morale e sociale eretta a sistema”.

La lettera, pur così puntuale, non elencava però casi specifici, ma lasciava trapelare notizie vaghe circa sotterranee torture, celle sepolte sotto il livello del mare, aguzzini bastonatori che avrebbero picchiato e represso i liberali napoletani. Quella lettera, opportunamente diffusa, ebbe un impatto devastante sull’immagine che l’opinione pubblica internazionale aveva del Regno borbonico provocando reazioni indignate e severe condanne morali. Nessuno mise in dubbio che quella lettera fosse stata dettata da preconcetto.

La realtà venne fuori molti anni dopo, quando del Regno borbonico non c’era più traccia essendo stato cancellato dall’epopea unitaria.

Nel 1889, sir William, ch’era già stato primo ministro britannico e si accingeva a tornare ad occupare il n. 10 di Downing street, sede del premier inglese, era tornato a Napoli in missione politica. Com’era naturale, qualcuno si ricordò della famosa lettera e chiese al politico inglese cosa l’avesse più indignato fra quanto aveva denunciato così vivacemente. Con la stessa spregiudicatezza con la quale aveva vergato quella denuncia, sir William Ewart Gladstone non ebbe remore a dichiarare che quanto aveva scritto nella famosa lettera non era veritiero, quanto meno nel senso che egli non aveva mai avuto contezza dei contenuti denunciati. Incalzato da suoi interlocutori sul perché avesse allora scritto quel cumulo di fatto non accertati, rivelò che quella lettera era parte di un complotto contro il Regno borbonico e che dietro quel complotto ci fosse stata la mano di Henry John Temple, visconte di Palmerston, al tempo primo ministro di sua maestà britannica la regina Vittoria.

Il visconte detestava, come molti liberali, Ferdinando II, stigmatizzato come una sorta di orco, il termine con cui veniva additato era proprio quello, soprattutto dopo il bombardamento di Messina che rischiò di radere al suolo l’intera città. Palmerstorn non poteva perdonare al Borbone, come denunciò in un suo discorso alla Camera dei comuni, il fatto che nella guerra cosiddetta di Crimea «il regno borbonico aveva dimostrato sfrontatamente la sua ostilità alla Francia e all’Inghilterra vietando l’esportazione di merci che il suo stato di neutrale gli avrebbe consentito tranquillamente di continuare a trafficare».

L’Inghilterra era arrivata, perfino a sospettare, che il Regno borbonico si apprestasse a trattare un’alleanza con la Russia che avrebbe consentito all’impero dei Romanov di realizzare l’antico sogno zarista accedere al mar Mediterraneo.

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