DAL BLOG "COME SE FOSSE ANTANI"
L’altare del Gagini e uno Spasimo lungo cinquecento anni. Intervista a Maria Antonietta Spadaro
Tra bizzarrie frutto dell’incuria e scherzi del destino, la nostra bellissima città di Palermo ne ha collezionate tante.
Emblematica è la storia di Santa Maria dello Spasimo, chiesa unica e suggestiva per via della sua architettura e di quella volta mancante che la apre al cielo. Ma, come dicevano i latini, nomen omen, nel nome c’è racchiuso il destino e il presagio: lo Spasimo, nome originario indicante la sofferenza della Madonna che vide andare al Calvario suo figlio Gesù, si è riversato sull’edificio e sulle opere in esso contenute.
Il primo, commissionato come chiesa per i benedettini olivetani dal 1509, passò al Senato palermitano già nel 1572, diventando teatro, magazzino e lazzaretto. Dal 1883 al 1985 addirittura ospedale, luogo di sofferenza per eccellenza; la tavola di Raffaello, nota come “Spasimo di Sicilia”, visse le più disparate vicende: scampata a un naufragio, fu posizionata nella chiesa per cui era stata commissionata fino, rimanendo a Palermo fino 1661, quando andò dritta in Spagna per volere del re Filippo IV, venne poi confiscata da Napoleone, per poi ritornare in Spagna al museo del Prado di Madrid dove si trova ancora adesso. Destino non diverso è toccato all’altare scolpito da Antonello Gagini e realizzato proprio per accompagnare il dipinto raffaellesco.
L’altare, dopo le operazioni di restauro, sarà a breve ricollocato nella cappella della chiesa, sotto una copia del dipinto, fortemente voluta da Vittorio Sgarbi e Bernardo Tortorici. Ma la storia del suo ritrovamento è molto complessa e intricata e me la faccio raccontare da Maria Antonietta Spadaro, architetto, storica dell’arte e docente, nonché artefice del ritrovamento di quest’opera d’arte. E non solo di questa. La professoressa Spadaro mi narra i fatti in modo dettagliato e appassionato come se leggesse un racconto d’avventura, che in fondo è stata la sua.
L’INTERVISTA
Professoressa Spadaro, ci racconti la storia di questa scoperta, di questo ritrovamento.
Questa storia ha dell’incredibile. In seguito lei scoprì anche che la donna raffigurata in un ritratto contenuto a Palazzo delle Aquile fosse addirittura Charlotte di Borbone, nientemeno che la figlia del re di Francia Luigi XVI e di Maria Antonietta d’Asburgo-Lorena. In che modo è riuscita ad arrivare a questi ritrovamenti così rilevanti? Ci parli del suo metodo che l’ha resa celebre come “signora in giallo” dei beni culturali di Palermo.
Lo Spasimo è stato per lungo tempo lazzaretto, ospedale: è un luogo che ha conosciuto traversie e dolore, un dolore simbolo della nostra città martoriata negli anni da varie “pesti”. La sistemazione dell’altare sotto la copia del dipinto avverrà in un momento difficile, a causa della pandemia di Covid-19. Come legge tutti questi eventi?
«Proprio il 4 marzo, alla vigilia del lockdown, abbiamo fatto l’ultimo sopralluogo. I lavori di restauro sono cominciati nel settembre del 2018. Anche questo è stato uno ‘spasimo’. Ho scoperto l’altare decenni fa, eppure tornerà al suo posto solo tra qualche giorno. Ma il fatto che siamo in procinto di riuscirci è un bel segno, una piccola vittoria sulle difficoltà. E siamo nel 2020, esattamente nel cinquecentesimo anniversario della morte di Raffaello. Sì, è davvero una vittoria, se vogliamo leggerla così».
Professoressa, la ringrazio per la sua disponibilità, ma, prima di salutarla, vorrei farle un’ultima domanda: cosa consiglia ai giovani che si apprestano ad affrontare questa difficile professione, quella dello storico dell’Arte?
«Di amare ciò che fanno, di farsi guidare dalla passione. Mi è capitato di avere degli allievi che hanno poi proseguito su questa strada. A loro rendevo note le mie ricerche che andavano oltre il semplice insegnamento a scuola o all’università. Ebbene, oggi continuo a lavorare con alcuni di loro. Ci vuole, come dicevo, tanta passione ed entusiasmo. Bisogna divertirsi mentre si compie il proprio lavoro. Io l’ho sempre fatto».
Dovremmo gioire un po’ tutti – non solo gli addetti ai lavori – per questi eventi così importanti che uniscono il passato e il presente del nostro territorio, perché ogni opera che ritorna al suo posto è un tassello che va a comporre un mosaico più ampio di civiltà. La professoressa Spadaro ci ha inoltre mostrato quanto sia imprescindibile un principio in fondo semplice, quello del divertimento che deve accompagnare il lavoro di ricerca, lontano da un concetto parruccone e passatista della cultura che una rubrica come questa non potrebbe mai accettare. In barba a cinquecento anni di spasimi!