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Le memorie custodite dall’antica Akragas, alla scoperta di Telamone e del suo mito

mercoledì 20 Marzo 2019

Una bella passeggiata nella suggestiva e leggendaria Agrigento, l’Akragas dei Greci, l’Agrigentum dei Romani, la Kirkent degli Arabi da cui il nome di Girgenti, per parlarvi dei “Telamoni“, maestose statue, di quasi 7,7 metri, che sostenevano il grande Tempio di Giove Olimpico, una delle costruzioni più imponenti dell’antichità, ospitata nella incantata Valle dei Templi e costruita dal tiranno Terone per celebrare la vittoria ad Himera degli agrigentini sui cartaginesi (480-479 a.C.).

Il ritrovamento dei Telamoni
Nel 1928, durante una campagna di scavi archeologici, vennero alla luce i resti di ben quattro telamoni, di cui uno rinvenuto praticamente intatto. Queste figure possenti, nella loro attualità, rappresentano l’importanza che la forza, la passione e l’impegno di una squadra, o team come si direbbe oggi, hanno nel sostenere il Tempio, il bene comune, e proteggerlo dalle difficoltà. Una bella lezione per i contemporanei. Nella storia dell’arte il Telamone è una imponente statua maschile che funge da pilastro, strutturale o decorativo, lungo la struttura esterna degli edifici classici. Oggi questo gigante, per cui nessun peso appare gravoso, è custodito nel Museo Archeologico Regionale “Pietro Griffo” ad Agrigento, detto anche di San Nicola perché si trova dietro l’omonima chiesa.

Ma chi era Telamone?
Telamone e Peleo erano nati da Endeide, figlia di Chirone e Cariclo, ed Eaco, figlio della ninfa Egina e di Zeus, che si accoppiò con lei trasformandosi in aquila e portandola con sé nell’isola di Enopia. I due fratelli gelosi del fratellastro Foco, figlio di una Nereide e prediletto di Eaco, che voleva lasciargli il regno, si allearono e decisero di ucciderlo durante una gara di pentatlon. Non si sa se a farlo fu Telamone col disco o Peleo con l’ascia, di sicuro lo nascosero in un bosco dove il padre lo ritrovò e, avendo capito il terribile misfatto compiuto dai fratricidi, li cacciò. Telamone, rifugiatosi a Salamina, mandò, prima, un messaggero a Egina per proclamare la sua innocenza e, poi, tentò di difendersi personalmente di fronte a Eaco che, non credendogli, lo respinse nuovamente.

Tornato a Salamina, senza il perdono paterno, sposò Glauce, figlia del re Cicreo, e alla morte di questa si unì in matrimonio con Peribea, da cui ebbe Aiace, detto Telamonio per distinguerlo da Aiace, figlio di Oileo, mitico re dei Locresi di Opunte. Telamone, come abbiamo già accennato, prese parte alla spedizione degli Argonauti e, infine, alla prima distruzione di Troia, ottenendo come preda Esione, sorella di Priamo e figlia di Laomedonte, re di Troia. Da questa nuova unione nacque Teucro che Telamone scacciò per essere ritornato da Troia senza aver riportato in patria le ossa del fratello Aiace.

Piccola riflessione: il padre Eaco scacciò lui per l’uccisione del fratellastro Foco e la stessa sorte egli decise per il figlio Teucro che, però, non si era macchiato di nessuna colpa. Telamone, capì sulla sua pelle il dolore lancinante che la morte di un figlio produce in un genitore, ma non fece nulla per tenere stretto a sé l’altro, ancora in vita. A lui, considerato una divinità umanizzata, si prestò culto a Egina e a Salamina. Alla solidità dei Telamoni agrigentini, statue simbolo di protezione e sostegno, si contrappone una figura mitologica sicuramente più “appannata” e “sbiadita” nelle doti.

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