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“Lo strano caso del borgo sui monti”: “Decameron” telefonico di Antonino Tranchina

mercoledì 1 Aprile 2020

I non-luoghi sono più affascinanti dei luoghi, perché possiamo immaginarli.

Come tutti voi in questi giorni, anche io oscillo tra la paura e l’abbrutimento, lo sconforto e l’angoscia. Ho bisogno di allontanarmi per un po’ con il pensiero, ho bisogno di un non-luogo, di una narrazione che non sia presa solo da uno dei tanti libri che potrei leggere perché la tensione è alta e mi risulta difficile concentrarmi. Chiamo così Antonino Tranchina. So che riuscirà a condurmi da qualche parte, facendomi attraversare un pensiero irriverente, come se fosse Antani. «Raccontami una storia», gli dico. È dottore di ricerca in Storia dell’arte bizantina presso l’università “La Sapienza” di Roma e borsista presso la “Bibliotheca Hertziana”. Il suo settore di ricerca verte sulla persistenza della tradizione liturgica greca nell’Italia meridionale e del suo impatto sulla cultura figurativa. Ha la capacità di parlare delle cose più complesse con un lessico d’altri tempi, vario e forbito, ma con una leggerezza e un brio così travolgenti che possono cambiarti l’umore uggioso di una giornata. È insomma un antidoto naturale per tempi come questi, un grillo parlante umanista e divertente che dovrebbe stare lì sul comodino per rinfrancarti l’animo. Antonino ha svolto degli studi sulla chiesa palermitana di Santa Maria dell’Ammiraglio, detta “La Martorana”. Intersezione di culture, incontro fra cose impossibili, monumento più bello del mondo. Tutto questo si è detto su quella chiesa: è un argomento ghiotto, come rinunciarci?

Vorrei che, come uno dei giovani della brigata del Decameron, per un attimo egli mi conducesse lontano dall’epidemia che stiamo vivendo e mi raccontasse di questo personaggio storicocon lo spirito contemporaneo di “Antani”. Lui lo saprebbe fare. Anzi, lo sa fare.

Parlami di Giorgio di Antiochia, il committente della Martorana. Mi accennavi a delle scoperte su questo personaggio storico così particolare: un uomo potente, un grande mecenate che parlava greco e arabo e professava il rito bizantino…

«Be’, su Giorgio di Antiochia si è detto moltissimo negli ultimi anni. Lo abbiamo quasi sostituito a Ruggeronella valutazione del peso storico e politico che ebbe nell’elaborazione di quel modello ibrido di società che rende così attuale, ancora oggi, il regno del secondo Altavilla di Sicilia. In questo grande successo di Giorgio si specchia ancora la passione degli storici moderni per gli apparati statali e anche quel pizzico di feticismo del lettore, di ogni fascia direi, per i manovratori, i personaggi secondari, la dietrologia».

Antonino, cosa stai dicendo? Ma sei tu? Perché mi parli in modo tanto formale? [Tranchina tira dritto, ha già nella testa le cose che vuol dire e spedito continua il suo racconto]

«A proposito di questo, volevo segnalarti una cosa… No, sai, si guarda sempre a Palermo come centro di potere, di elaborazione culturale, di sperimentazioni economiche e sociali. Così facendo, però, si scavalcano certi episodi che a un primo sguardo giudicheremmo “di provincia” e invece…»

Così inizia a parlarmi di un borgo sicilianolontano dal suo capoluogo. Si entusiasma, lo capisco dalla voce e lo immagino sgranare gli occhi: la sua verve è effervescente. Come non seguirlo nello scoppiettio di termini che sciorina, nello zibaldone di parole che seguono il suo pensiero in crescendo?Ho capito, sceglie lui l’argomento.Il borgo in questione, tuttavia non sarà nominato e risulteranno modificati i nomi di luoghi e personaggi che a esso si riferiscono (“per riservatezza” sostiene Tranchina). Del resto, perché no? Una rosa avrebbe lo stesso profumo anche se non si chiamasse rosa.

Sii tu come il re di una giornata del Decameron. Scegli il tema. Ti ascolto…

E Antonino continua:

«Questa storiella è fatta di piccoli pezzi che mi sono parati pian piano sulla via, come in Pollicino. Non ho potuto fare altro che seguirli. E mi han portato, passo dopo passo, fino a un piccolo centro arroccato nel parco delle Frassinie, dove, come sai, nascono panettoni dagli alberi, le galassie fanno l’occhiolino che manco a Houston, e così via» [come già detto i nomi sono fittizi, ndr].

Quindi non facciamo il nome di questo posto?

«No, ripeto, per riservatezza, ma è abbastanza famoso. Insieme al suo nome reca un altisonante attributo, che i locali vogliono conferitogli nientemeno che dall’imperatore Talarico. Lo hanno stampato pure sulla segnaletica stradale. Certo, scrivere qualcosa come “munifico” o “magnanimo” fa tutto un altro effetto rispetto allo Giancaxio di Joppolo o alla Sottana di Petralia, per dire, anche se in questi due casi si tratta di toponimi autentici» [l’Imperatore Talarico non è mai esistito, il nome è un altrondr]

Questa cosa del nome del borgo non gli dà pace e sta iniziando a non dare pace neanche a me.

Ti sarai sicuramente documentato in merito alla storia del nome. Cosa hai scoperto?

«Ho scoperto che questa storia del nome l’hanno orchestrata ben bene. Ho cercato in lungo e in largo per capire da dove provenisse la notizia, ma mi sono trovato davanti a una catena di autori sei-settecenteschi che si passano la patata bollente di mano in mano: Caruso cita Paruta, Paruta cita Inveges, Inveges cita Carnevale. Alla fine cosa scopri? Che Agostino Inveges si era talmente innamorato dell’imperatore Talarico da attribuirgli l’invenzione di ben ventinove epiteti tributati ad altrettante città di Sicilia, quali erano rappresentate in età spagnola nel Parlamento isolano. Ora, vi risulta che la segnaletica per Naro riporti l’epiteto ‘fulgentissima’? O che esista una Patti Magnifica? No! E probabilmente perché Naro e Patti non hanno avuto come storici i fratelli Caruso, che han preso su la frase di Inveges e ci han fatto credere che Talarico avesse studiato apposta per il loro paesello delle Frassinie un epiteto indimenticabile. Nomen Omen: la fortuna di un luogo si fa anzitutto col suo nome!»

Quindi tu sostieni che in questo borgo il passato prestigioso sia stato ingigantito, gonfiato o addirittura modificato ben bene per dargli lustro?

«Guarda che ci han provato per secoli. Hanno pure dato i natali a un rivoluzionario che riuscì a tenere sotto scacco il Viceré, governando Palermo per dieci giorni, come Masaniello a Napoli. E poi hanno avuto un cardinale che era lì per lì in procinto di diventare papa. Un nome altisonante, anche lui, qualcosa come Fanfollo del Pindaro o Rampollo del Fiffero, non ricordo [altro nome di fantasia,ndr], che avrebbe evitato a generazioni di cattolici di ripetere a pappardella il catechismo di Pio X, se fosse stato eletto al suo posto. Invece successe che a Franz Joseph, nelle ambasce della vedovanza, saltò in testa di rendere l’ultima gloria al Sacro Romano Impero e di opporre ufficialmente il suo veto alla tiara di Fanfollo, esimio cardinale di quel borgo. Chissà se ci fosse stata Sissi, invece…»

Papa Pio X, ovvero Giuseppe Melchiorre Sarto.

«Infatti, se gli abitanti del borgo non si sono rifatti su papa Sarto, di certo si son fatti coi figli di sarto. Uno è diventato un noto storico dell’arte, l’altro è diventato uno stilista più che famoso, con un nome che è tutto una melassa – ricorderai certamente. E mette d’accordo tutti: dalle fashion victim di Manhattan, ai confratelli di Maria Dolorosa. Non sarà un caso che abbia fatto arrivare nel suo borgo quel simpatico cross-over che si portano a spasso per Pasqua: un corredo di manto, diadema e cocchio sbrilluccicante. Che più che il Venerdì Santo sembra la Christopher Street Parade. Quando ho visitato la chiesa, il sagrestano mi ha raccontato con enfasi che dei turisti giapponesi provenienti da una faraonica sfilata dello stilista, entrarono in chiesa e un raggio di sole colpì il fercolo in Swarovski e pietre nere e che tutti rimasero a bocca aperta. Pure il sole ha fatto parte della scenografia, capisci?».

In quanto a opere d’arte, gli abitanti del borgo non possono lamentarsi.  E tu che sei un esperto del settore ce ne potresti parlare a ragione veduta…

«Ah, se di opera d’arte possiamo parlare a proposito dei doni dello stilista! Ma, a torto o a ragione, gli abitanti del borgo si fregiano anche di altro: il ‘tritticone’, che è stato recentemente attribuito (con molto ottimismo) a un gran nome fiammingo, e una grande tela di un pittore bolognese, un capolavoro venuto bel bello dalla cappella del Senato palermitano a quest’oscura chiesetta delle Frassinie. Mah…»

Ti vedo perplesso, critico. Qual è la tua tesi a riguardo?

«Insomma, siamo di fronte a “Lo strano caso del borgo sui monti”. Per me si possono trarre due alternative: o ‘sti qui son la progenie di una loggia di tagliapietre che mette le mani sante su documenti, tavole dipinte e rulli di stoffa e ne procura oro; oppure sono alieni».

E non c’è una terza via interpretativa percorribile?

«Certamente. Probabilmente si tratta di una realtà che conserva una struttura tradizionale e locale che però riesce a trasmettere dei valori di formazione particolarmente efficaci. E il fatto che riguardi angoli sperduti della nostra ‘provincia’, ci fa capire come lì si annidi una storia nient’affatto minore. E vale la pena di spulciarla».

Certo, sarebbe interessante non concentrarsi solo sui grandi fatti e i grandi personaggi della storia, ma come mi appare lontano al momento questo borgo che vorrei visitare, eppure è a solo un’ora da qui. Lontane in questi giorni sono la bellezza e la freschezza mordace che ho tentato di riportare a me e a voi, attraverso Antonino Tranchina. Se avete colto l’aderenza alla realtà di luoghi, nomi e fatti sarà stato senza dubbio divertente per voi, cari lettori, conoscere queste chicche che riguardano un borgo sui monti; vi avrà sviato per qualche minuto dalle preoccupazioni. Se invece non l’avete riscontrata e tutto vi suona nuovo, apprezzatene lo storytelling (quanto detesto questa parola!) nella sua verosimiglianza attraverso questo florilegio di nomi.In questo momento così difficile, aggrappiamocia loro, ai nomi, anche nella finzione, qualsiasi cosa essi ci evochino: ‘nomina nuda tenemus’, possediamo solo dei nudi nomi.

«Adesso raccontamela tu una storia», mi chiede Antonino.

Gli rispondo che la storia parla di quando il peggio sarà passato e lui mi accompagnerà di nuovo al tempietto del Bramante a San Pietro in Montorio o sui tetti della Martorana e, tra una risata e l’altra, mi racconterà di Giorgio di Antiochia. Poi aggiungo: «Come se fosse Antani».

E lui: «Già, una supercazzola bitumata da Tapioco-virus anafrastico con lo scappellamento a destra».

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