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Mafia, clan ‘Pillera-Puntina’ di Catania: vittime denunciano estorsioni

martedì 11 Gennaio 2022

Una delle più note pasticcerie di Catania taglieggiata, un panificio devastato durante un raid punitivo con aggressione e minacce di morte, prestiti ad usura con tassi del 10 per cento al mese. Sono alcune delle attività criminose messe in atto dalla cosca ‘Pillera-Puntina’ di Catania emerse dalle indagini della polizia che, con l’operazione ‘Consolazione’, ha arrestato 16 persone, tra esponenti di vertice e affiliati alla cosca, anche grazie alla collaborazione delle vittime che hanno denunciato.

Tra i destinatari del provvedimento restrittivo anche i presunti vertici della cosca ‘Pillera-Puntina’, come Giacomo Maurizio Ieni, che secondo collaboratori di giustizia regge il clan, e Fabrizio Pappalardo, indicato come il capo del ‘gruppo del Borgo’, che opera in piazza Cavour nel rione ‘Consolazione’, da cui ha preso nome l’operazione della polizia. Le indagini sono state avviate nel 2015 e hanno fatto luce anche sulla richiesta a uno dei titolari di una delle più note e rinomate pasticcerie della città costretto a versare 5.000 euro, in due rate, per le feste di Natale e Pasqua, a consegnare nel tempo a esponenti del clan 12 ceste natalizie e praticare per loro ‘sconti’ sugli acquisti.

Vittima di un raid invece il titolare di un panificio che è stato devastato per fare pagare al titolare la ‘liquidazione’ che sarebbe spettata alla figlia di un appartenente al clan che lì aveva lavorato, colpendo con dei caschi alla testa due dipendenti presenti. Alle violenze, contesta la Dda della Procura di Catania, hanno fatto seguito le minacce alla moglie del panettiere (“se non mi dici dov’è tuo marito scippamu (stacchiamo, ndr) a testa a te e ai bambini”) e allo stesso titolare (“se non dici la verità ammazzo a te e la tua famiglia … il panificio domani deve restare chiuso se no ti ammazziamo la famiglia…”).

Dalle indagini è emerso anche il tentativo di estorsione a un imprenditore, picchiato e minacciato perché si rifiutava di pagare una ‘tangente’ di oltre 9.000 euro, che ha denunciato la violenza subita. Il titolare di un’altra azienda è stato avvicinato e minacciato per indurlo a versare il ‘pizzo’ al clan con la classica richiesta di “cercarsi un amico”, perché, gli è stato intimato, “è buona abitudine che quando uno viene a casa mia si dovrebbe presentare…”. Attuata anche la tecnica estorsiva del ‘cavallo di ritorno’: la richiesta di un ‘riscatto’ al proprietario per la restituzione di uno scooter rubato.

“Tutte le ipotesi accusatorie, allo stato avallate dal Gip – sottolinea la Procura di Catania in una nota – dovranno trovare conferma in esito al procedimento penale che verrà instaurato nel contradittorio tra le parti, come legislativamente previsto”

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