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Malavolta, una reflex sui confini del mondo

martedì 13 Dicembre 2016

Le sue immagini dei profughi e dei migranti sono ormai famose in tutto il mondo. Francesco Malavolta, 41 anni, nato a Corigliano Calabro è ormai un palermitano d’adozione. I suoi ultimi reportage li ha  realizzati, nelle settimane scorse, nel mar Mediterraneo a bordo e per conto della nave Ong Moas, che in tre anni ha salvato 35 mila persone.

E ancora in Grecia, Bulgaria, Macedonia, Serbia e Sicilia per conto di Unhcr, Oim e Frontex.

 

Malavolta con la reflex a tracolla registra nei suoi scatti  il viaggio delle popolazioni che fuggono dalle guerre, dalle carestie e dalle dittature.   “Ci sono degli scatti che hanno lasciato un segno forte dal punto di vista emotivo nella mia vita, ovvero quelle realizzate spesso ai superstiti di naufragi. E’ struggente vedere gli occhi di tutte quelle persone che ce l’hanno fatta dopo aver lasciato nel fondo del mare familiari ed amici”.

Il suo è un lungo peregrinare da una parte e l’altra del pianeta. “Le mie foto sono scattate dalle navi che operano i soccorsi in mare e nelle zone dove si trovano tanti disperati diretti sulla terra ferma verso luoghi sicuri. La mia fotografia – osserva – strettamente giornalistica e di documentazione servirà come memoria storica. Ho il rammarico che la foto che non ho ancora realizzato è quella che mostra i confini senza le barriere“.”

Il mio approccio con questo lavoro è iniziato con il grande amore verso le immagini, facevo collezione da ragazzo di riviste come Life e l’Europeo. – spiega – La mia prima macchina fotografica è stata una Canonet 28. Erano i primi anni ’90. E scattavo in analogico. Per poi passare al digitale. La mia scelta stilistica è quella del colore. Che è anche quello che i committenti spesso chiedono“.

Una delle foto più conosciute di Malavolta è sicuramente quella che ritrae una coppia di fidanzati naufragati nel mare Egeo. Ognuno dei due pensava che l’altro fosse annegato. Per poi ritrovarsi nella stessa barca di salvataggio e baciarsi prima di svenire dalla stanchezza.  Poi c’è quella che mostra una famiglia di siriani all’arrivo di notte nel porto di Pozzallo poco dopo l’attracco di una barca con 44 cadaveri per asfissia. Tra di loro c’è anche un neonato tenuto in braccio dalla madre. I colori di questo scatto sono stati definiti pittoreschi. “Io la definisco la vita come risposta alla morte“, sussurra. E ci fa vedere un’altra foto che “sicuramente – dice – fa capire il dramma di chi scappa dalla guerra e dalle dittature è quella di una mamma che non trovando giubbotti di salvataggio decide di costruire per la figlia un salvagente con due cassette di polistirolo“.

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