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Messina, la crisi della classe dirigente ed il ruolo dell’Università

venerdì 31 Marzo 2017
Università di Messina

La nostra città sta attraversando una delle sue crisi peggiori dal secondo dopoguerra ad oggi. Ma non è una crisi economica, o perlomeno non è solo economica. È una crisi sistemica. Manca una visione comune della città, un modello di sviluppo, c’è un deficit identitario, oltre che economico. Il tessuto sociale è sfilacciato, le relazioni incattivite, la “società civile” un fantasma.

In sintesi a Messina manca una classe dirigente.

Anche se, il tema interessa il Mezzogiorno nel suo complesso e non da ora, se uno dei maître à penser del Novecento Norberto Bobbio scriveva: «Come uomo del Nord, anche se non nordista, perché ho avuto una educazione risorgimentale… e debbo gran parte della mia formazione civile a uomini del Mezzogiorno come Croce e Salvemini, ho sempre esitato a esprimere il mio parere su una questione così complessa e controversa come la questione meridionale. Ma oramai una cosa è diventata ai miei occhi sempre più chiara, e sempre più difficilmente confutabile: la questione meridionale è prima di tutto una questione dei meridionali».

 

Ma oggi, ed in massima misura a Messina, il problema di selezionare una nuova classe dirigente è diventato una vera emergenza. Se nella vituperata prima Repubblica, la leadership in tutti i settori della vita sociale era, nella media ponderata, in mano ai migliori, adesso sovente prevalgono i peggiori. E se questo è vero in tutti i campi, lo è in maniera esponenziale nella politica, laddove i migliori, intesi come i portatori di valori e competenze, sono respinti da quel mondo, come in economia la moneta “cattiva” scaccia quella “buona”.

Per aver dimostrazione di quanto detto, basta assistere a qualche seduta di Consiglio comunale o ascoltare le dichiarazioni del Sindaco della città. Come e quando porre rimedio a questa situazione è difficile saperlo. Servono certamente nuovi partiti, ma questi saranno possibili solo se ci sarà una rinnovata spinta della società civile, un “colpo di reni” culturale e sociale. Ovvero non toccherà ai partiti cambiare la società, bensì sarà la società civile, svegliandosi dal suo torpore, che obbligherà i partiti a cambiare.

 

Come scrisse il filosofo Eraclito già 2500 anni fa: «I dormienti sono artefici delle cose che accadono nel mondo, e aiutano a produrle». Ma non abbiamo tempo. Non possiamo attendere che evolva spontaneamente la dialettica tra politica e società civile. Serve un’accelerazione, uno “scatto”: è necessario immaginare un incubatore di idee per un progetto di sviluppo della città.

E se ci guardiamo in giro riteniamo che tale ruolo propulsivo lo possa giocare l’Università, una delle poche istituzioni che, nel nostro contesto, ha conservato autorevolezza e credibilità, accrescendola anzi negli ultimi anni, dimostrando vocazione per l’innovazione e propensione per una interazione positiva col territorio. Prova ne è stata la recente iniziativa di regia del dibattito tra forze sociali, produttive e movimenti,  per la preparazione del documento propositivo per il ministro Delrio in visita in città.

 

In un contesto depresso e privo di prospettive, il nostro Ateneo deve appropriarsi pienamente del ruolo di laboratorio per lo sviluppo, di “pensatoio della città”, in osmosi con le residue e deboli, forze culturali e produttive, per l’elaborazione di strategie per salvare l’esistente e migliorare il futuro. Assumendo, de facto una funzione di sussidiarietà della classe politica dormiente.

Bisogna riaprire al più presto un dibattito libero su cosa deve diventare Messina, e come: questa è la priorità assoluta. Ed è sulla base di questo dibattito pubblico che si getteranno le basi per la formazione della nuova classe dirigente della città.

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