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Nassiriya, risarcimento alle famiglie. Intravaia: “Mio padre sapeva di dover morire”

martedì 14 Febbraio 2017
nassiriya

«Mio padre, così come gli altri suoi commilitoni impegnati nella missione internazionale di pace a Nassiriya, sapeva di dover morire ed era consapevole di quello che poi, purtroppo, sarebbe successo». Lo afferma Marco Intravaia, figlio di una delle vittime dell’attentato a Nassiriya, Domenico, monrealese, vicebrigadiere dei carabinieri, a proposito della sentenza della prima sezione civile della Corte d’Appello di Roma che ha condannato l’ex generale Bruno Stano, all’epoca comandante della missione, a risarcire le famiglie delle vittime perché sottovalutò il pericolo dell’attentato in Iraq del 12 novembre 2003.

Domenico Intravaia
Domenico Intravaia (ANSA)

«Questa sentenza – prosegue Intravaia – conferma oggi quello che noi familiari sapevamo da tempo e cioè che i nostri militari a Nassiriya erano e si sentivano dei “morti viventi” perché sapevano che erano stati ignorati diversi “warning” dei servizi segreti non solo italiani, ma anche inglesi ed americani, che annunciavano l’attentato da parte dei terroristi e che erano ormai condannati a morte. E che mio padre e gli altri suoi compagni fossero molto preoccupati e che non vivessero tranquilli lo si capiva dal tono della voce, anche se lui non ha mai esternato a noi familiari le sue preoccupazioni”.

 

“Che oggi si parli ancora di questa terribile vicenda – dice ancora Marco – non fa altro che amplificare il nostro dolore e ribadire, ancora una volta, il senso dello Stato di uomini come mio padre e dei suoi compagni che, pur sapendo di essere condannati, sono rimasti fino all’ultimo a compiere il loro dovere, fedeli fini alla morte al giuramento prestato alla nostra amata Repubblica. La mia famiglia, durante questi anni, pur conoscendo questa triste ed amara verità – conclude Marco Intravaia – ha sempre mostrato grande rispetto delle istituzioni e continuerà a farlo, sempre. Non abbiamo mai fatto polemiche e non ne faremo nemmeno adesso. Ci aggrapperemo ben saldi a quei valori che mio padre ci ha trasmesso e ci ha lasciato in eredità, ricordandolo non come un eroe, ma come un umile, ma grandissimo servitore dello Stato».

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