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Nigeriane come schiave: a Palermo 40 case d’appuntamenti gestite dalla nuova mafia “Black Axe”

venerdì 8 Febbraio 2019

Io so” scriveva Pier Paolo Pasolini in un celebre articolo redatto molti anni fa. Questa frase potrebbe essere attribuita anche ad Osas Egbon in materia di donne, nigeriane vittime della tratta, giunte a Palermo e mandate a prostituirsi.

Osas è stata anche lei una prostituta prima di riuscire a ricostruirsi una vita nel 2004. Oggi presiede l’associazione “Donne di Benin City”, l’unica in Italia a essere stata fondata da nigeriane ex vittime della tratta.

Un fiume di denaro passa per le strade di Palermo. Un fiume in piena che attraversa la Favorita, le strade del Porto, via Maqueda, il Foro Italico, sino ad arrivare in via Messina Marine per sfociare esattamente nel quartiere di Ballarò. Mentre sull’Isola i negozi falliscono investiti dalla implacabile crisi economica, mentre le fabbriche licenziano e chiudono i battenti, la fabbrica del sesso prospera e va a gonfie vele. In Sicilia, il suo fatturato annuale è da capogiro. Le stime dell’associazione fotografano solo a Palermo almeno più di 300 giovani nigeriane sfruttate per un mercato che frutterebbe 10 milioni di euro l’anno. Osas è stata la prima a liberarsi a Palermo dalla morsa della malavita nigeriana, ma la strada non è stata semplice. Racconta che a Palermo esistono più di 40 case adibite alla prostituzione in cui sono presenti anche minorenni. In alcune case sono costrette a prostituirsi più di venti nigeriane

La Black Axe, nuova ‘piovra a Palermo’

I fatti di cronaca di questi giorni in merito al Cara di Mineo, hanno acceso nuovamente i riflettori sulla Black Axe, l’ascia nera, che il pm Gaspare Spedale ha definito: “Come una piovra”. Riti, affiliazioni, traffico di droga e sfruttamento di prostituzione ed anche un pentito, hanno fatto da cornice alle persone coinvolte nel 2016 nell’inchiesta coordinata dalla Dda di Palermo che ha condannato in primo grado 17 persone, di cui 16 residenti nel capoluogo siciliano. Una banda che ha come quartier generale Ballarò, ma si dirama in tutta Italia.

In un rapporto della Dia del 2016 è abbastanza chiaro come questa criminalità organizzata vada a braccetto con Cosa nostra. “…una di queste è la ‘black axe confraternity’, composta da criminali nigeriani ormai stanziali in Italia e dedita alla commissione di gravi delitti e che si scontra, anche violentemente, con gruppi rivali. Come emerso da diverse attività d’indagine, gli appartenenti alla ‘confraternita’ hanno creato una delle loro basi in Sicilia, in particolare a Palermo, con il consenso di cosa nostra che, nel caso specifico, avrebbe optato per una strategia non interventista; le famiglie mafiose, difatti, avrebbero mantenuto il controllo delle attività illecite che si svolgono nelle zone di propria competenza, limitandosi ad ‘imporre la propria protezione’ ai traffici appannaggio dei nigeriani. Dalle risultanze investigative emerge che soggetti, nigeriani e ghanesi avrebbero operato per conto della famiglia della Noce”.

Le schiave nigeriane arrivano a Palermo

La tratta presenta una filiera complessa: si comincia con il reclutamento, si prosegue con il finanziamento e l’organizzazione del viaggio, per finire con l’esercizio della prostituzione in forma coatta, di vera e propria schiavitù. L’organizzazione imprenditoriale viene gestita da ex prostitute chiamate maman. Le nigeriane arrivano quasi tutte da Benin City, attraverso le carrette del mare o con documenti falsi in aereo, accompagnate dai loro padroni a cui devono pagare il prezzo della loro libertà. Per le donne che arrivano a Palermo, ci vogliono due o tre anni per pagare il debito che va dai 30mila ai 100mila euro, talvolta anche di più. Nel capoluogo siciliano per anni il fenomeno delle prostitute non è mai stato di particolare interesse. Bisognava leggere sui giornali la morte di due giovani prostitute nigeriane per far destare l’attenzione sul problema. La prima è Lowet Eward, morta nel dicembre del 2011 per mano di un cliente. Il corpo è stato ritrovato carbonizzato a Misilmeri, in provincia di Palermo. La seconda, Favour Nike Adekunle, è stata uccisa nel febbraio del 2012. Adekunle, 22 anni, stava per sposarsi; non stava più in strada. È stata trovata morta seminuda, abbandonata tra i cassonetti dell’immondizia della città. Nel 2017 una giovane prostituta si è lanciata dal balcone dell’appartamento del capoluogo siciliano, in cui era prigioniera per scappare dalla sua maman, rimanendo miracolosamente viva. Adesso vive a Firenze. Ma questi sono solo tre casi di vita, alcune finiti tragicamente, fatte da sofferenza per queste giovani schiave.

Osas Egbon (foto di Naomi Morello)

“Le donne di Benin City” non hanno paura

Circa 35 sono le donne che sono riuscite a liberarsi dalla morsa della malavita e dalla prostituzione attraverso l’associazione “Donne di Benin City” attiva sul territorio a seguito della morte delle due giovani nigeriane. Più della metà sono minorenni. L’ultima arrivata è una ragazza diciannovenne, il suo nome è Sucess. La nigeriana che già da adolescente vendeva il suo corpo a Palermo, è stata accompagnata da Osas dalle forze dell’ordine per denunciare i suoi abusi e i suoi “padroni”. La prassi è questa. Ogni volta che una ragazza nigeriana decide di liberarsi dalle catene della propria schiavitù, l’associazione attiva una serie di misure di protezione urgenti, previste in questi casi. Oggi Sucess è al settimo mese di gravidanza; Il padre? Un giovane che sembrerebbe appartenere alla malavita nigeriana, che di lei e del bambino, a seguito della sua decisione, non ne vuole più sapere, minacciandola ferocemente. “Ho chiamato io l’ex ragazzo di Sucess, intimandolo di smettere di ricattarla” – racconta al ilSicilia.it la presidente dell’associazione – Io non ho paura dei miei compaesani che sono malviventi qui a Palermo. Non ho paura nemmeno delle maman che ad oggi sfruttano le ragazze nigeriane. Ma non capiscono che anche loro stesse sono vittime di questo sistema. Io conosco tutti qui a Palermo. Sono loro ad avere paura di me”.

L’associazione è fatta da ex vittime e da donne palermitane che aiutano come possono le ragazze. Una tra queste è l’attivista Silvana Compagnuolo. “La vera paura per queste ex prostitute sono le ritorsioni che possono avere nei confronti dei familiari nel loro Paese di origine. Tantissimi palermitani sono complici di questo fenomeno pagando i rapporti sessuali. Se queste donne non hanno un futuro lavorativo e sociale, l’unica loro via d’uscita è pagare il debito ai loro protettori ed iniziare ad essere una maman”, racconta a ilSicilia.it la Compagnuolo. “Un privato ci ha donato una casa nel paese di San Giuseppe Jato che vorremmo adibire come struttura ospitante per le vittime della tratta, ma al momento non abbiamo i fondi disponibili per attivarla”.

Il Comune di Palermo immobile con le vittime della tratta

“L’amministrazione non ci ha mai dato un euro. Solo promesse e basta”. Spiega Osas: “Abbiamo parlato anche con l’assessore per la Cittadinanza Solidale, Diritto e Dignità dell’Abitare, Beni Comuni, Partecipazione, Giuseppe Mattina. Ma nulla di fatto. Abbiamo più volte spiegato i bisogni e le esigenze che abbiamo noi come associazione e queste donne che hanno diritto ad una vita vera, lontano dai centri di accoglienza”, continua la presidente della associazione: Il fenomeno della tratta dal 2016 ad oggi è in enorme crescita e lo dimostrano le 40 case adibite alla prostituzione. Noi come associazione possiamo continuare la nostra battaglia ma è necessaria una presa di coscienza e posizione da parte dell’amministrazione nei confronti di questa tematica che molto spesso viene presa sottogamba”. 

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