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Non riesco a stare attento a scuola: ho il DDAI o solo energia da canalizzare?

venerdì 17 Luglio 2020

Buongiorno Liberi Nobili,

oggi rispondo a R. (12 anni) che mi chiede: “Non riesco a mantenere l’attenzione a scuola, a volte ho un’energia tale che non riesco a stare ferma, vuol dire che ho il DDAI?”.

Innanzitutto, nosograficamente parlando, per poter diagnosticare un Disturbo da Deficit dell’Attenzione/Iperattività un soggetto deve presentare i seguenti sintomi per almeno sei mesi fino ad avere un impatto negativo sulle attività sociali e scolastiche/lavorative: 1. Disattenzione: non riesce a prestare attenzione ai particolari, commette errori di distrazione e il lavoro non è accurato; 2. Ha difficoltà a mantenere l’attenzione sui compiti e sulle attività di gioco e sportive, per cui anche una semplice conversazione o una lettura diventano disagevoli; 3. Non sembra ascoltare quando gli/le si parla direttamente, anche in assenza di stimoli distraenti (possono essere compresi pensieri incongrui); 4. Non segue le istruzioni e non porta a termine i compiti ovvero viene distratto facilmente; 5. Ha difficoltà a organizzare i compiti e le varie attività giornaliere e, quindi, manca di puntualità, precisione, affidabilità; 6. Assume comportamenti da evitamento per tutto quello che concerne uno sforzo mentale protratto e che richiede tempo; 7. Perde oggetti; 8. Ha un comportamento oppositivo, aggressivo, passivo-aggressivo, disturbo della condotta o depressivo (è irascibile e scattoso o tiene il broncio, si chiude in se stesso); 9. È irrequieto, incapace di rimanere fermo; 10. Parla troppo; 11. Può completare le frasi dette da altre persone prima che la domanda o la frase sia finita; 12. Può risultare invadente fino a utilizzare oggetti altrui senza chiedere o ricevere il permesso (da DSM V).

Tuttavia, bisogna che il clinico sia cauto e non prenda fischi per fiaschi. Mi auguro che le mie elucubrazioni possano aprire le menti per gestire meglio simili distonie in modo che ne nasca una sinfonia. Ogni sintomo viene trattato, erroneamente, come un segnale di patologia mentre è la chiave per regolare la macchina, un indizio per comprendere i potenziali della persona, come guidarla verso un miglior utilizzo delle proprie risorse e non per bloccarne i neuroni (generando frustrazione e rabbia). Gli adolescenti con ADHD, acronimo in inglese, o DDAI, in italiano, hanno un desiderio di libertà particolarmente intenso, vogliono sempre decidere in maniera autonoma, non riescono a rimanere concentrati a meno che il discorso non gli sembri logico e convincente (da Eleonora Maj, Ester Barozzi e Viviana Pandolfi). Perché questo dovrebbe essere indice di malattia e non di errore evolutivo (anche dei genitori) e di energia esplosiva che deve essere ben canalizzata? Per questi soggetti non va bene l’insegnante noioso, petulante, ridondante ma è promosso quello che si distingue dalla media, brillante, scientifico, razionale ed empatico. Già, perché se manca di empatia non si accorgerà che perde l’attenzione, non tenterà di adeguare i toni e rimodulare i termini in modo da destarla nuovamente e da mostrarsi come un fedele “alleato”. Massima comprensione, dunque, se sfugge con i pensieri ma, con simpatia, garbo e autorevolezza, si può aiutarlo a rientrare nei ranghi e, piano piano, sarà egli stesso a sforzarsi di rimanere attento se non deve cambiare, invece, qualcosa il docente. Ci sono ben due concetti che vorrei indurre a focalizzare dietro “il rimanere attenti”: il primo è quello neuroscientifico per cui viene elaborata solo un’informazione rilevante (filtro selettivo); il secondo è dato dalla “motivazione”, strettamente collegato alle funzioni esecutive. Quando c’è la molla, l’orientamento non può essere interrotto e non è soggetto a interferenze, anche perché si mettono in atto delle strategie per evitarle (per es., mettere il telefono in modalità silenziosa).

Dal punto di vista clinico, il sistema di vigilanza neuroanatomico che mantiene uno stato di attivazione è quello noradrenergico. È possibile influenzare positivamente tale complesso attraverso l’alimentazione, l’assunzione vitaminica, lo sport e quindi, in maniera assolutamente naturale, si può imparare ad attivare/regolare la secrezione delle sostanze dopaminiche necessarie per sostenere livelli intensi di attività cognitiva e atletica.

L’ambiente e una buona predisposizione genetica rivestono grande importanza per potere gestire efficacemente la vigoria dei soggetti DDAI. Che cosa si deve apprendere o affinare? Si deve imparare a sublimare, compensare e inalveare le energie possedute, accettare i fallimenti o errori trasformandoli in positivi ed evolutivi perché qualunque esperienza può migliorare il proprio approccio alla vita e bisogna acquisire come regolare gli impulsi e le emozioni, divenendo riflessivi e capaci di aspettare. Anche il DDAI può essere un diplomatico ma deve avvalersi molto della scienza, delle relazioni interpersonali e dell’atletica. Perché? Perché ha bisogno di stimoli continui, perché nel confronto con gli altri può trovare la motivazione ad agire in modo più efficace e congruo e perché con lo sport può incanalare e sfruttare meglio la propria energia, soddisfacendo il bisogno innato di deconcentrazione psicologica, dinamismo e “easy mood” (visto che la lunazione è inarrestabile).

Per procedere alla riprogrammazione comportamentale dei pazienti ho trovato molto efficace la tecnica Token economy che consiste in una forma di “accordo educativo” per cui vengono assegnati dei premi e delle ricompense ogni volta che raggiungono qualche traguardo.

Vi assicuro che con un buon training clinico il soggetto non sarà mai frustrato e, quindi, irascibile ma, al contrario, sarà un moto perpetuo in assenza di agitazione (atarassia). Parola di un’iperattiva “addumata”!

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