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“Non si svuota il Sud”, la protesta dei docenti siciliani di ruolo al Nord [Gallery]

venerdì 29 Dicembre 2017

Si è svolta, prima a Palermo e poi a Catania, la protesta degli insegnanti che hanno ottenuto l’agognato ruolo, con la legge 107/2015, cosiddetta della “Buona Scuola”, ma a migliaia di chilometri di distanza dalla propria terra e dagli affetti più cari. Due giorni fa nel capoluogo, al Ranchibile, si è tenuta una lunga assemblea per discutere le iniziative da mettere in atto nei prossimi mesi. Ieri, invece, circa 500 docenti hanno manifestato per le vie di Catania chiedendo a gran voce un piano di rientro e comunque priorità alle procedure di mobilità rispetto a nuove immissioni in ruolo.

Lamentano enormi disagi nel dover condurre le loro vite separate da figli e mariti. Insegnanti che per anni hanno lavorato da precari, ricoprendo posti a tempo determinato nelle città di residenza e che improvvisamente, a causa dell’algoritmo imposto dalla nuova riforma varata dal governo Renzi, sono stati scaraventati lontano dalle proprie città, vedendo infranta la normale esistenza familiare.

Per questo sin da subito si sono riuniti in comitati, come “Non si svuota il Sud”. In Sicilia sono circa 8.000 i docenti siciliani immessi in ruolo fuori dalla propria terra. “Non si può affidare il destino dei docenti della scuola ad un maledetto algoritmo”, dice Graziamaria Pistorino, segretaria regionale della Flc Cgil Sicilia. “Qui c’è in ballo la vita professionale e familiare delle persone. È necessario che la politica prenda atto dell’errore fatto e trovi la soluzione idonea per far rientrare tutti gli insegnanti che lavorano fuori. Come Flc Cgil Sicilia chiediamo che vengano stabilizzati tutti i posti in deroga di sostegno e che venga ampliato il tempo pieno per dare possibilità di rientro a questi colleghi. Lavorare lontani da casa è insostenibile sia economicamente che dal punto di vista delle relazioni affettive”.

Il quadro è molto complesso, le richieste variegate, le prospettive e le soluzioni avanzate anche. La situazione cambia a seconda della tipologia di posto e dell’ordine di scuola presi in esame. Se, infatti, i posti di sostegno nell’Isola abbondano, tanto da costringere il Ministero a concedere 6.000 deroghe ai docenti specializzati in assegnazione provvisoria titolari al nord, la stessa cosa non può dirsi per i posti comuni della scuola dell’infanzia, primaria, di primo e secondo grado.

Per l’infanzia non si è provveduto, nonostante le promesse governative, a potenziare l’organico e quindi la disponibilità dei posti per la mobilità dei docenti e per le nuove immissioni in ruolo è legata al turn over ed alle aliquote stabilite dal contratto collettivo nazionale sulla mobilità, firmato giorni fa dal ministro e dalle organizzazioni sindacali. Questo prevede le stesse regole e aliquote dell’anno precedente e cioè il 30% alla mobilità territoriale, il 60% alle nuove immissioni in ruolo ed il 10% alla mobilità professionale.

Per la primaria la situazione è ancora più drammatica a causa della carenza del tempo pieno in Sicilia e del ricorso alle 27 ore come curriculo prevalente, nella maggior parte degli istituti comprensivi siciliani. Basterebbero almeno 30 ore a tappeto in tutti gli istituti per guadagnare circa 4.000 posti. Anche per le classi di concorso del primo e secondo grado la situazione non è entusiasmante ed è legata al turn over e alla stabilizzazione dei posti dall’organico di fatto all’organico di diritto.

Tra le pieghe della legge di stabilità si legge uno stanziamento di 50 milioni di euro per l’anno in corso e di 150 per gli anni a venire. E proprio su questo aspetto sperano i docenti siciliani di ruolo al Nord per vedere incrementare le quote di posti destinate alla mobilità. Ma la situazione è estremamente complessa, perché gli unici posti certi ed in abbondanza sono quelli di sostegno. Inoltre sono state prorogate di un anno le graduatorie di merito dell’ultimo concorso a cattedra, graduatorie piene di candidati vincitori di concorso che aspettano di essere immessi in ruolo.

L’unica cosa certa, in questo ginepraio di richieste, spesso in contraddizione tra di loro, è la necessità di affrontare questa questione, che si può anche definire “meridionale”, attraverso l’attivazione di uno specifico tavolo tecnico che metta insieme le parti in causa e cioè docenti, famiglie, organizzazioni sindacali, istituzioni politiche locali, governo e Miur, per tentare di trovare soluzioni condivise, ma soprattutto che tengano in conto le giuste sequenze operative, al fine di  evitare di trovare soluzioni di parte utili ad alcuni ma dannose per altri.

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