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Racconti brevi da leggere online: “La vita appesa ai muri”

sabato 2 Febbraio 2019
Francesco Lojacono , "L'arrivo inatteso" (1883) olio su tela
Francesco Lojacono , "L'arrivo inatteso" (1883) olio su tela

Siamo alla quinta parte del 1° capitolo de “La vita appesa ai muri” di Caterina Guttadauro La Brasca, un nuovo appuntamento di Romanzi da leggere online a puntate.

Nonno Erasmo si spegne poco dopo la sua malattia… Emanuele rimane solo con le zie… la figlia Gloria sarebbe ritornata per vedere per l’ultima volta il padre? Per riabbracciare il figlio?


Caterina Guttadauro La Brasca, “La vita appesa ai muri”, Editoriale Programma Ed., Treviso, 2013.

1° capitolo – 5^ parte: Nonno Erasmo

 

«Però la vita ha il suo corso e non si cura di ciò che noi vogliamo, di quando e di come.

Fu un giorno senza sole quello che, al suo nascere, si portò via Erasmo.

Tutti ci eravamo preoccupati per i suoi occhi e, invece, fu il suo cuore tanto stanco che quella notte cessò di battere.

Se ne andò alla sua maniera, in silenzio quando tutti dormivano, per non dare problemi a nessuno e non spaventare Emanuele, che sembrava impazzito dal dolore.

Il suo viso era una maschera, si era chiuso in un mutismo inaccessibile e a nulla valsero i tentativi di Margherita e Emma di romperlo, dicendogli che il nonno sicuramente non aveva sofferto che la morte era stata clemente con lui e che non avrebbe dovuto preoccuparsi di niente perché loro avrebbero pensato a tutto.

Emanuele, però, sapeva che la quercia a cui si era appoggiato nei momenti difficili non ci sarebbe più stata e si chiedeva se, la sera precedente, avesse trascurato qualche indizio che gli avrebbe potuto far capire se stava male.

Con lui moriva il tempo dei giochi, delle confidenze, delle piccole verità che l’avevano aiutato a crescere e ad affrontare la vita.

Il suo cuore e la sua mente erano pieni di lui, non aveva e non avrebbe mai smarrito alcun particolare di quanto gli aveva insegnato, raccontato e confidato.

Nel giorno e la notte della veglia non si allontanò neppure per un minuto da Erasmo, rimase seduto accanto al suo letto e, ogni tanto, gli accarezzava il viso.

Non si alzò neppure quando vide entrare una signora, accompagnata da Emma e Margherita, avvicinarsi al letto, inginocchiarsi e aggrapparsi a quel corpo senza vita, piangendo a dirotto mentre gli chiedeva perdono.

Neppure un muscolo della faccia di Emanuele si mosse, ma lui si alzò e uscì dalla stanza. La perdita di Erasmo addolorò i Lumia e tutti quelli che lavoravano per loro.

Quando a lasciarci è una brava persona che ha solo regalato a tutti bei ricordi, la morte sembra una punizione, nonostante l’età avanzata, e non la naturale conclusione di una vita.

Si fecero i funerali di Erasmo. Sua figlia e suo nipote, apparentemente uniti dietro al feretro, non si scambiarono una parola.

Com’è d’uso, le visite si protrassero per una settimana e il mutismo di Emanuele preoccupava sia Emma che Margherita, che si chiedevano come sarebbe esploso il suo dolore.

Gloria era divorata dai rimorsi per non essere riuscita ad arrivare in tempo per chiedergli perdono, per dirgli che gli voleva bene e che temeva che la sua assenza avrebbe reso più distanti lei ed Emanuele.

L’aspettava un’altra prova: percorrere le strade di quel paese, al cui giudizio si era sottratta con la fuga.

Sapeva che rivederla avrebbe fatto riaffiorare, in paese, chiacchiere, accuse e assoluzioni, che avrebbe potuto incontrare il padre di suo figlio.

Ormai quello che provava per lui si era trasformato, dapprima in odio, poi rancore e, finalmente, era riuscita a guadagnarsi la quiete dell’indifferenza.

Talvolta, aver conosciuto il peggio ci porta a non credere al meglio.

In tutti quegli anni avrebbe potuto rifarsi una vita, aveva conosciuto qualche persona onesta che le aveva chiesto anche di sposarla e far famiglia con lei.

Era stata tentata di farlo, perché avrebbe finalmente avuto una spalla cui appoggiarsi, eliminare la paura di non riuscire ad arrivare a fine mese.

Tutte le volte le era tornata in mente la stessa domanda: e il passato?

C’erano dei conti aperti tra lei e il suo passato e il più grande di tutti si chiamava Emanuele.

Per Gloria il passato era un burrone, dinanzi c’era una bella prateria ma lei avrebbe dovuto continuare sempre a correre, perché fermarsi avrebbe significato caderci dentro.

Intanto, a questa sua indecisione aveva sacrificato suo padre, lasciandogli sulle spalle un figlio e il gravoso compito di fargli da padre.

Margherita e Emma notarono la sua indecisione a uscire, capirono la sua pena e spazzarono via i suoi timori, ricordandole che suo padre aveva fatto i conti con il resto del mondo tutti i giorni e per tanti anni e se le sue spalle erano curve era per il peso degli anni, e non della vergogna.

Per Erasmo Emanuele era stato un dono di Dio e non gli era mai interessato saperne di più ma aiutarlo a fargli vivere quegli anni come un bambino normale, a mettere balsamo sulle sue ferite e, soprattutto a non renderlo sfiduciato e pauroso del futuro.

La morte di Erasmo parlava al cuore di Gloria.

Chissà, in tutti quegli anni, vedendolo camminare tenendo per mano il suo bambino, quanto si era sentito oggetto di discussione e additato come un povero vecchio che scontava la pena di sua figlia.

Erasmo si era piegato ma mai spezzato al vento della maldicenza e della vergogna. Lui era come le vecchie canne, la cui robustezza si misura dalla loro capacità di piegarsi senza rompersi.

La sua morte aveva condannato Gloria al silenzio. Sapeva però che aveva un motivo in più per tentare di recuperare l’affetto di suo figlio.

Riavvicinarsi a lui voleva dire riavvicinarsi anche a suo padre che anche per amore suo aveva affrontato anni di disagio e difficoltà.

Senza accorgersene, ancora immersa nei suoi pensieri, si trovò in strada, forte di quel coraggio che arriva quando sei con le spalle al muro e cominciò a camminate a testa alta, come avrebbe dovuto fare tanti anni prima.

Sapeva dove andare ma invece di prendere la scorciatoia, allungò la strada come per avere più tempo, perché di tutti gli incontri della sua vita, quello che si apprestava ad avere era certamente il più importante e quindi quello che temeva di più. 

Amava, al di là di ogni dire, suo figlio ma di lui non conosceva nulla: si era persa la prima parola, il primo dentino, i primi passi, il primo giorno di scuola e via dicendo.

Con quale diritto si presentava adesso davanti a lui? Come avrebbe potuto giustificarsi? Era disarmata e capiva che solo l’amore aveva in mano quella partita.

Teneva gli occhi bassi presa dai suoi pensieri. Margherita le aveva detto che quasi sicuramente avrebbe trovato Emanuele vicino al ponte, poco fuori dal paese.

Erasmo ed Emanuele erano soliti andare in quel posto, su una collinetta che chiamavano la collina dell’arcobaleno.

Quello era il loro posto, lì sedevano a discutere e, adesso, solo lì lui poteva sentirsi vicino a quel nonno che gli aveva insegnato tutto quello che sapeva.

A un tratto Gloria lo vide. Era appoggiato sul ponte e teneva in mano una verga che il nonno usava come bastone e lasciava correre lo sguardo lungo tutta la vallata, ormai brulla perché si avvicinava l’inverno, che nel suo cuore c’era già.

Anche Emanuele, voltandosi improvvisamente, la vide venire verso di lui; l’istinto gli disse di andar via, non voleva dividere quel posto suo e del nonno con nessuno, tantomeno con lei.

Cosa avrebbe potuto sentirsi dire da lei? Si sarebbero dette parole prive ormai di contenuto, perché figlie di un altro tempo.

La strada era solo una: o si rimaneva estranei, continuando a vivere la propria vita ignorandosi o si ricominciava, lasciando alle spalle il passato.

Per lui Gloria era un’estranea ma risentiva le parole di suo nonno quando gli diceva che bisogna perdonare, perché l’odio e il rancore ostruiscono le strade dell’amore e fanno più male a chi li prova che a chi ne è l’oggetto.

Emanuele si era sempre sentito sconfitto dalla sorte, ma aveva sempre taciuto per non dare una pena a suo nonno.

Con quel fiuto incredibile che hanno i bambini, cercava di non parlare mai con lui di sua madre, per cui tutte le domande erano ancora lì, in attesa di risposte.

Eppure si stupiva, perché doveva ammettere con se stesso che non la odiava. Provava solo tanta e tanta rabbia.

Gli erano mancate tutte le cose semplici, ma importantissime che ogni madre fa per suo figlio.

Aveva provato tante volte a immaginarsela, se l’era figurata bionda, con gli occhi azzurri, proprio come un angelo, ma poi tutto sfumava nel sonno o nell’amara realtà.

La forza che tutti gli riconoscevano era come un vestitino che indossava tutte le mattine per sentirsi uguale agli altri.

Emanuele aveva capito che mostrare le proprie debolezze offriva agli altri un motivo in più per essere colpiti in ciò che ci ferisce.

Adesso il motivo di tanto dolore veniva verso di lui, era una bella donna, alta e mora come lui. Mentre si avvicinava, provava sentimenti contrastanti: orgoglio, perché era bella, sollievo, perché non era ancora andata via, attesa, per quello che sarebbe successo di lì a poco.

Avrebbe avuto il coraggio di continuare a vivere da solo?

Senza passato e anche senza futuro? Si ricordò che il nonno diceva sempre che chi non aveva un passato non poteva avere un futuro.

A un tratto pensò a sua madre e non solo a se stesso, al suo passato da sola e la vide in tutta la sua fragilità, le sue inconfessate paure, la sua solitudine.

Ormai Gloria era molto vicina a Emanuele e si udì una frase, detta a voce alta da uno dei due uomini che percorrevano la strada in senso contrario: «Guarda la troia è tornata».

La scena si animò improvvisamente. Emanuele scattò in piedi e con i pugni chiusi, fu subito addosso all’uomo che aveva parlato per insultare sua madre.

Gloria si avvicinò per trattenere suo figlio, cercando di calmarlo. Lo teneva stretto per dargli modo di far uscire quel fiume di dolore che, da giorni, si teneva dentro.

Gloria sapeva che non era possibile competere con due uomini coalizzati e, con parole appropriate, convinse Emanuele a lasciarli perdere. Lei era fuggita via dal paese anche per questo motivo.

All’improvviso Emanuele comprese perché sua madre era scappata via, perché sarebbe stata additata da tutti come una poco di buono e avrebbe trascinato con se nella vergogna anche suo padre.

Ma lui aveva troppe domande che contenevano la voglia che aveva di buttarle le braccia al collo.

Aveva un padre, perché anche lui non lo aveva mai cercato? Era stato trattato da tutti come un giocattolo con il quale giocare e poi mettere via. Cosa sarebbe stato di lui senza le signorine Lumia?

Per quanto ancora giovane Emanuele era molto saggio e cercava di mettere in pratica i consigli del nonno.

Anche lui avrebbe dovuto essere arrabbiato con sua madre, ma l’aveva perdonata e avrebbe voluto dirglielo per tempo.

Poteva adesso lui, per rabbia e orgoglio rinunciare all’unica persona che era tutta la sua famiglia?

La vita quali strade avrebbe fatto percorrere a Gloria ed Emanuele? E se non ci fosse più stata un’occasione per perdonarsi e perdonare? Emanuele scelse la strada più faticosa ma giusta: mise a tacere ciò che voleva sapere, rimandandolo a tempi più giusti e afferrò la mano che sua madre gli tendeva.

Gloria non poteva, al momento, pretendere di più e ne era consapevole. Entrambi tirarono un lungo sospiro e lasciarono scivolare lo sguardo lungo tutta la vallata.

C’era tanta pace in quello che gli occhi vedevano: un arcobaleno attraversava il cielo. Emanuele sapeva, per merito del nonno, cosa significasse: la riappacificazione tra Dio e gli uomini.

Lo trovò un segno non casuale in quel momento, con fare protettivo, più figlio di quanto lui pensasse, mise il braccio attorno alle spalle di sua madre e, insieme, ritornarono verso il loro futuro.

Se si fossero voltati, avrebbero visto un vecchio sdentato sorridere felice.»

 

LEGGI ANCHE I CAPITOLI PRECEDENTI:

Romanzi da leggere online a puntate: primo capitolo de “La vita appesa ai muri” di Caterina Guttadauro La Brasca

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