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Sfregio alla statua di Falcone, un fenomeno di “camorrizzazione” della criminalità

sabato 15 Luglio 2017

All’inizio di questa settimana è avvenuto, presso il quartiere ZEN di Palermo, l’odioso episodio che ha scosso la coscienza civile del Paese e in particolare dei palermitani: lo sfregio alla statua di Giovanni Falcone, cui sono seguite altre azioni macabre e disgustose che hanno avuto sempre come bersaglio la scuola del quartiere intitolata allo stesso giudice.

A questi gesti infami ha reagito in primo luogo la scuola, dopo un giustificato momento di scoramento, in particolare da parte degli insegnanti, e importanti messaggi sono arrivati dalle istituzioni, dal ministro della pubblica istruzione, che ha annunciato una sua visita, al presidente della camera e infine l’autorevole condanna dell’arcivescovo Corrado Lorefice. Anche dall’interno del quartiere si sono levate voci di protese da parte di cittadini e da coloro i quali ogni giorno sono impegnati nell’opera di volontariato.

E’ necessario, tuttavia, aprire una riflessione sul significato di quel gesto e sui probabili autori.

La stessa preside della scuola ha escluso che possa essere opera di balordi, di una ragazzata, né è pensabile che il mandante possa riferirsi direttamente a Cosa Nostra che, in questo momento, non ha certo bisogno di un’esposizione mediatica.

Il ripetersi, non solo allo Zen, di episodi di vandalismo e di violenza contro i simboli e le espressioni della Legalità e del vivere civile fa pensare al moltiplicarsi di micro organizzazioni criminali, composte essenzialmente da giovani, che mutuano e adottano comportamenti e metodi della mafia ma che non sono meccanicamente riconducibile ad essa.

Elio Sanfilippo
Elio Sanfilippo

Saremmo, quindi, in presenza di un fenomeno di “camorrizzazione” della criminalità, sull’esempio napoletano, di gruppi criminali autonomi, autoreferenziali, senza alcun coordinamento che alternano tra loro momenti di coesistenza a contrasti sanguinari. Questi gesti, pertanto, non sarebbero altro che un modo per affermare una presenza e una supremazia colpendo simboli come le scuole per il clamore che suscitano.

D’altronde, dopo gli importanti risultati riportati dalla Magistratura e dalle Forze dell’Ordine che hanno scompaginato l’esercito di Cosa Nostra e decapitato tutti i suoi vertici, sia a livello dei mandamenti sia della commissione, Cosa Nostra non ha più una struttura verticistica e fortemente autoritaria e centralizzata, sotto il dominio di Totò Riina, nonostante qualche tentativo, prontamente sventato dalle forze dell’ordine, di ripristinare i vecchi assetti gerarchici.

In questo momento è priva anche di un coordinamento tra le varie “famiglie” in assenza di capi carismatici,con l’eccezione del latitante Messina Denaro che però si racchiude nel trapanese.

Vi è poi un secondo aspetto da rilevare. In un quartiere, cosiddetto a rischio, come lo ZEN sono presenti e svolgono un prezioso lavoro di sensibilizzazione e di aggregazione la scuola, strutture di volontariato, associazioni, le parrocchie. Tuttavia di fronte a questi avvenimenti s’insinua lo scoramento in molti operatori, perché sembra che occorra sempre ricominciare daccapo.

Si ha l’impressione, infatti, che questo lavoro importante non riesca a incidere e che le azioni di educazione alla legalità e le attività illegali e criminali si muovano su binari paralleli in una realtà che sembra essere sempre statica e non produca cambiamenti significativi.

In un “focus” organizzato qualche anno fa dal professor Salvatore Costantino, presso la facoltà di scienze politiche, ricordo l’intervento particolarmente efficace di Leopoldo Ceraulo, una fervida intelligenza politica e culturale, purtroppo prematuramente scomparso che, da dirigente scolastico, raccontò un episodio indicativo.

A conclusione di un progetto educativo, svoltosi proprio alla scuola media Leonardo Sciascia dello ZEN 2, di cui Ceraulo era preside, si decise di presentare i risultati del lavoro in una manifestazione pubblica.

E cosi presso l’Aula Magna della scuola, alla presenza del ministro della pubblica istruzione, del sindaco della città, del prefetto e di altre autorità, oltre che degli studenti e di molta gente del quartiere furono illustrati i contenuti del progetto che, in particolare, riguardava la simulazione di come organizzare una città ideale nelle sue articolazioni sociali, politiche e culturali.

Mentre si svolgeva la manifestazione, dalle finestre dell’aula magna di fronte si scorgeva una piccola folla attorno ai padiglioni delle case popolari, non ancora completati ma che la mafia aveva già posto sotto il suo controllo.

Pertanto nel padiglione della scuola si parlava di legalità e diritti, di fronte nello spiazzo delle case popolari la mafia assegnava gli appartamenti, secondo una sua graduatoria, attivava allacciamenti, ovviamente abusivi, dell’acqua e della luce, sotto lauti compensi, insomma si sostituiva allo Stato.

Si stipulava, come disse Poldo Ceraulo, un vero e proprio patto di cittadinanza con la mafia che con lo Stato, che si trovava paradossalmente a poche centinaia di metri da quel gravissimo avvenimento.

Da qui dovrebbe ripartire la vera antimafia sociale, altrimenti il lavoro dei magistrati e delle forze dell’ordine sarà utile a vincere le battaglie ma non la guerra definitiva che, come disse Gesualdo Bufalino, alla fine la mafia sarà sconfitta definitivamente solo da un esercito di maestri elementari.

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