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Sia fatta giustizia per i caduti di via D’Amelio. La verità la pretendiamo

giovedì 19 Luglio 2018
borsellino

Il 19 luglio del 1992 quel boato che ha cambiato per sempre le nostre vite. Era una domenica pomeriggio e il sole era ancora alto. Una domenica come tante di luglio. Ricordo la scia di sirene e ambulanze che, appena ventenne, seguii a piedi come fossi un robot, per tentare di capire dove portasse quel fiume impazzito. Camminando meccanicamente mi ritrovai in un altro mondo.

In via Mariano D’Amelio c’era fumo e c’era fuoco. C’era tanta gente e non c’erano barriere.

Ricordo ancora i volti delle persone. Moltissimi fra poliziotti, carabinieri, finanzieri, medici, pompieri. Correvano tutti di qua e di là, ma pareva che nessuno sapesse cosa fare.

Guardai quelle scene con gli occhi di chi aveva appena cominciato la propria avventura nel mondo del giornalismo. Proprio due giorni prima avevo iniziato a collaborare con “La Sicilia“, ma era ancora troppo presto per il mio primo articolo. Sarebbe passato ancora qualche giorno, ma quel boato sordo che sfregiò quella domenica e la vita di tutti noi, risuonò come una chiamata alle armi: era giunto il tempo di cominciare a essere padroni del nostro destino, vivere la nostra storia e cambiare il suo corso, ciascuno con il proprio ruolo, ciascuno con la propria sensibilità e con il proprio “karma”. Ciascuno a modo proprio, ma tutti uniti da un filo invisibile che ci fece crescere improvvisamente e segnò per sempre le nostre vite.

Tanti particolari di quella domenica di luglio restarono impressi nei miei occhi, ma soprattutto quello che non potrò mai dimenticare erano la confusione e lo smarrimento. In via D’Amelio accorsero tutti, ma proprio tutti. Ed è per questo che non si può oggi ignorare il grido di verità e giustizia di Fiammetta Borsellino

La verità è un diritto che pretendiamo, in onore di Paolo Borsellino e dei cinque agenti di scorta, Agostino Catalano, Emanuela Loi, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina e Claudio Traina. In onore di tutti i nostri caduti.

E la pretendiamo oggi più che mai, specie dopo che i giudici hanno acclarato che ci furono depistaggi e tradimenti da parte di uomini dello Stato, che avrebbero dovuto scoprire chi e perché volle quell’eccidio, ma che invece, per oscuri fini, hanno cercato di allontanare le responsabilità dai veri colpevoli. Già a partire dai momenti confusi e concitati di quella domenica pomeriggio, infatti, ci fu qualcuno che depistò. E avrebbe continuato a farlo negli anni successivi. Fu una strategia del depistaggio, ordita non da cani sciolti, ma in modo consapevole e organizzato.

Oggi in via D’Amelio e in altre piazze di Palermo sfileranno politici e autorità varie. Ci sarà molta retorica, ci saranno lacrime e ci sarà tanta malafede, mista a tanta buona fede. Ci sta.

Le passerelle sono inevitabili, ma al di là di queste c’è la gente comune, che odia la mafia e ogni forma di sopruso e che ha diritto di poter dire a chi verrà dopo di noi che la criminalità mafiosa è un pezzo di storia con cui Palermo e l’Italia hanno finalmente chiuso i conti. Nel migliore e unico modo possibile: vincendo questa guerra. 

Ai politici diciamo quel che ripetiamo da tempo. Fatevi pure le vostre passerelle, ma ricordate che l’unico modo che avete per riscattare voi stessi è creare le condizioni affinché le generazioni del futuro possano vivere in Sicilia dignitosamente. Della vostra retorica non ce ne facciamo niente se non è seguita da politiche e atti concreti, che diano la possibilità a tutti di vivere qui e di non fuggire via.

A morte la mafia e tutti i loro servitori!

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