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‘Strabuttanissima Sicilia’. Buttafuoco e l’impostura che in Sicilia diventa regola

venerdì 6 Ottobre 2017

Per Pietrangelo Buttafuoco l’impostura rimane  ancora il problema più grande. Il raggiro, la costruzione, quella sindrome di “ricatto del consenso” a cui i siciliani si espongono, che denuncia da anni, insieme al timore che la sua gente possa incappare ancora una volta nei siciliani dal “baffuzzo furbo”.

Parole di ieri e di oggi. Di un passato di qualche tempo fa che l’autore cerca ancora di esorcizzare dietro un sorriso timido e gentile. Tre anni fa, era il tempo di ‘Buttanissima Sicilia’ (Bompiani), oggi lo scrittore e giornalista siciliano torna sui “luoghi del delitto” con ‘Strabuttanissima Sicilia’ (La nave di Teseo). Quale altra rovina dopo Crocetta?

Si interroga inquieto. Vede nuove insidie, teme ancora agguati.  Asincronie quelle che i siciliani non riescono a spazzare via dentro un tempo malato all’interno del quale basta credere che le cose possano cambiare al suono eterno e immutato di una perenne campagna elettorale dove si infiocchettano illusioni  e si dispensano veli e inganni.

Ieri, in occasione della presentazione del suo nuovo libro al Don Orione di Via Pacinotti a Palermo, accanto a Buttafuoco c’era Totò Cuffaro, camicia jeans  e pantalone casual, che attraversa il solito spazio che lo separa dal suo punto di arrivo, baciando gente, stringendo mani. Una liturgia che solo a lui può riuscire sempre uguale e naturale. Buttafuoco osserva, guarda e si defila. Non vuole profanare quel tempio ancora intatto di un popolo che non si arrende all’idea di non avere più il suo sovrano. Cuffaro incontra i giornalisti, li rimprovera amabilmente : «A volte avete esagerato con me», ma non vuole parlare di politica o almeno ci prova: «La Sicilia ha bisogno di sentirsi presa per mano».

Dentro li attende il giornalista Roberto Puglisi,  che fornisce al dibattito accelerazioni e cambi di passo. Ma il ritmo non manca. Per nulla. Buttafuoco evoca la galleria sinistra degli orrori di legislatura, la solitudine di Lucia Borsellino, il salotto di Giletti dove si abolirono le Province, ma era solo la prima delle sette leggi in materia del quinquennio, le mani frettolosamente strette da Renzi sulle centomila inaugurazioni che hanno lasciato le cose perfettamente uguali a sé stesse e ancora  su Crocetta: «il ricettacolo del pittoresco, a cominciare dalla sofferta drammatica battaglia per la legalità diventata una pantomima imbarazzante».

Il tempo vola, quasi due ore, la gente applaude, si stringe con affetto:  «Non riusciamo ad avere con la verità un rapporto sereno», afferma Buttafuoco che parla della vicenda giudiziaria di Cuffaro senza indulgenza, ma anche con rispettosa attenzione al senso misurato delle cose.

Alla fine a Buttafuoco tocca di firmare un sacco di dediche e autografi. Magari con la mente va ad una delle ultime frasi di Cuffaro che nel salutarlo, davanti a una platea affollatissima, confessa che lo avrebbe votato volentieri come governatore di questa buttanissima terra. Lui alla fine non ci ha pensato. Ha mantenuto il distacco necessario che i grandi amori richiedono a distanza.

Un Buttafuoco irraggiungibile nel consenso già c’è stato. Si prese la soddisfazione di essere deputato all’Ars per 20  anni, sindaco di Nissoria, deputato alla Camera ed europarlamentare. Forse un record per un missino. No, non erano omonimi. Erano zio e nipote. Nino e Pietrangelo. Innamorati fatalmente di una terra che imprigiona le speranze e le restituisce sotto forma di schegge e frammenti a cui ci aggrappiamo nei nostri cammini senza gloria.

 

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