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Svolta sull’omicidio Aldo Naro, il padre: “Ucciso da più persone. La procura tace”

lunedì 9 Dicembre 2019
Aldo Naro
Aldo Naro

Sono passati cinque anni dalla morte di Aldo Naro, il giovane ucciso nella discoteca Goa di Palermo. Sono passati cinque anni e la famiglia cerca ancora giustizia per la scomparsa del proprio figlio. I genitori, attraverso perizie di parte e consulenze, hanno chiare le loro idee su come è andata quella serata. E non basta per loro una condanna per omicidio volontario a risolvere il caso giudiziario. Tanti e troppi misteri sono ancora irrisolti. Da quel giorno di san Valentino del 2015 sono scaturiti cinque processi di cui uno terminato con una condanna per via definitiva a dieci anni di reclusione per omicidio volontario a carico dell’allora minorenne Andrea Balsano. Sarebbe stato proprio il buttafuori abusivo a sferrare il calcio mortale quella notte nella discoteca vicino allo Zen.

I Processi del caso Ado Naro 

Il secondo processo riguarda un giudizio ordinario per rissa aggravata a carico di Antonio Basile, Francesco Troia, Massimo Barbaro e Giovanni Perca ancora in fase di escussione dei testi d’accusa. Un rito abbreviato per rissa aggravata a carico di Natale Valentino, Giuseppe Micalizzi, Carlo La China. Giuliano Bonura, Giovanni Colombo, Daniele Cusimano, Marinao Russo, Francesco Meschisi e Pietro Covello.

Condannati a due anni di reclusione per rissa: Giovanni Colombo, Pietro Covello e Mariano Russo, oltre al risarcimento dei danni per le parti civili e al pagamento delle spese processuali.

Assolti, invece, Giuseppe Micalizzi, Francesco Meschisi (perché il fatto non costituisce reato), Carlo Salvatore La China, Giuliano Bonura, Daniele Cusimano e Natale Valentino (difeso dagli avvocati Vito Agosta e Gino Rausa). Gli altri imputati erano difesi da Ennio Tinaglia, Fabrizia Giunta, Michele Giovinco, Rosanna Vella. Rispondevano a vario titolo di rissa e favoreggiamento personale. I legali sono riusciti a dimostrare la loro estraneità alla rissa.

Proprio in questo processo, per il giudice Fernando Sestito, l’assassino di Aldo Naro, non è uno solo. Il giudice ha infatti ordinato la trasmissione degli atti al procuratore della Repubblica di Palermo per le valutazioni di competenza nei confronti di Gabriele Citarrella, Francesco Troia e Pietro Covello per il reato di omicidio in concorso ex art. 575 c.p. I primi due erano vigilantes regolari, mentre Covello era un buttafuori irregolare. Inoltre, per quanto riguarda il solo Gabriele Citarrella (mai indagato) il giudice ha disposto che la Procura valuti, in aggiunta all’ipotesi di omicidio, la sua responsabilità per il reato di rissa aggravata dall’evento morte. Nei giorni scorsi il giudice per le indagini preliminari Filippo Serio ha rigettato la richiesta di archiviazione della procura nei confronti dei tre e chiesto nuove indagini.

Infine l’ultimo filone d’inchiesta deriva da due querele presentate dalla madre di Aldo Naro, Anna Maria Ferraro, (la prima in data 25 luglio 2017 e la seconda in data 3 gennaio 2018) nei confronti del maggiore dei carabinieri Alberto Raucci e di tutti gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria intervenuti in fase di indagini. La richiesta di archiviazione già formulata dalla Procura di Palermo al momento non è stata ancora notificata alla querelante.

Nuova consulenza medica e Tac sparita

Lo scorso mese di settembre una nuova consulenza aveva ribaltato la tesi dei consulenti della Procura secondo cui il giovane medico sarebbe morto a seguito di un singolo calcio. La famiglia Naro, gli avvocati Salvatore Falzone e Antonino Falzone, avevano affidato l’incarico di studiare l’esame autoptico a Giuseppe Ragazzi, medico chirurgo specialista in medicina legale, e a Salvatore Cicero, direttore del reparto di Neurochirurgia presso l’ospedale Cannizzaro di Catania. Per loro “le lesioni encefaliche non possono essere giustificate da un singolo colpo vibrato alla regione temporale sinistra ma sono frutto di più traumi verificatisi secondo linee di forza che hanno agito sia in direzione antero posteriore, sia postero anteriore, sia latero laterale. La gravità delle lesioni non può essere spiegata con un singolo colpo, il quale peraltro se avesse avuto una elevata vis lesiva, come sostenuto dai consulenti tecnici d’ufficio, avrebbe dovuto causare con elevata probabilità anche una frattura ossea sul punto di impatto“. Intanto, proprio la famiglia della vittima ha chiesto alla procura generale l’avocazione delle indagini dopo avere scoperto che il referto di una Tac è scomparso dal fascicolo della procura.

Le parole del padre di Aldo Naro 

Il nostro consulente ha dimostrato in modo quasi inoppugnabile che Aldo è stato colpito da tante persone e più volte“.

Queste le parole a IlSicilia.it di Rosario Naro, padre del giovane ucciso e generale dei Carabinieri da un anno in pensione. “L’ipotesi è sostenuta anche da testimonianze e dai video. Questi dati sono rilevabili dalle foto della autopsia e dal referto. Il nostro perito ha richiesto la TAC. Ma la tac è sparita. La Tac non si trova più nemmeno al Policlinico ne tra le carte dei pm. Non so a questo punto cosa altro può’succedere. Io ho alle mie spalle quasi 41 anni di servizio; come lei sa sono un ufficiale di polizia giudiziaria. Sono andato in pensione l’anno scorso. Ho avuto qualche omicidio durante la mia carriera, non ho mai lasciato niente di insensato. Ne mai ho tradito la fiducia delle vittime dei reati. Io non riesco a capire questa situazione che si è venuta a creare con la procura di Palermo. Sino ad ora eravamo soltanto noi a sostenere la tesi che Aldo non è stato ucciso da un solo calcio ma adesso ci sono anche due giudici a sostenere la nostra tesi. Ma la procura tace. Nel corso delle indagini abbiamo rilevato delle anomale una inadempienza ed una superficialità davvero inspiegabile. E’ un diritto nostro e di Aldo avere giustizia in merito alla sua uccisione”.

Il pentito e la mafia dei buttafuori

Qualche mese dopo dalla morte di Aldo Naro, l’ex boss di Porta Nuova, Francesco Chiarello, raccontava durante l’interrogatorio per il processo “Apocalisse” il modus operandi di un gruppo di giovani dello Zen: spregiudicati, violenti, senza rispetto per le regole, convinti di entrare in tutti i locali senza pagare e determinati a creare confusione. I buttafuori di alcuni locali palermitani, quindi, avrebbero chiesto l’aiuto di Cosa nostra per arginare i giovani che davano più problemi.

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