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Tempo d’attesa nel Pd. Il modello Palermo non scalda i cuori e il derby dei rettori innervosisce i ‘colonnelli’

mercoledì 16 Agosto 2017
pd

Il  partito Democratico non esce dalla estenuante litania di veti contrapposti, il modello Palermo non scalda i cuori e le primarie sembrano sempre di più una trovata burocratica della politica che non sa scegliere, che una soluzione perseguibile con successo di immagine e di effetti.

Non proprio il quadro ideale per  affrontare la dura tappa di avvicinamento alle elezioni regionali del prossimo 5 novembre.

In mezzo a questo impasse che non arricchisce di certo lo scenario, tra quelli che in questi giorni non hanno voluto lasciare dubbi sul proprio pensiero, non è mancato Cracolici, che in un post sul suo profilo Facebook, ha messo in campo una sintesi chiara della situazione che il partito Democratico oggi vive nella sua scelta per Palazzo d’Orleans.

«Se si chiuderà un’alleanza larga come io auspico, non potrà essere fatta a prescindere da quello che si è fatto fino ad oggi. Crocetta ha navigato in questi 5 anni in maniera tempestosa ma ha condotto fin qui la nave. Adesso si può discutere sul futuro senza anatemi e senza ricatti».

Il Pd che ha governato al fianco di Crocetta, critico in molte parti della legislatura («siamo ai titoli di coda», citando lo stesso Cracolici nel maggio del 2014) rivendica priorità nella scelta e assenza di pregiudiziali nella proposta.

Il modello Palermo, se deve essere un modo per farsi espropriare  di ruoli e funzioni, insomma non affascina i democratici.

Il centro sinistra rincorre dunque profili di problemi diversi in un groviglio di incertezze.

Da una parte Renzi non crede più alle tregue armate possibili da mettere in campo da parte dei colonnelli siciliani: Lupo e Cracolici “in primis” e sa che su Crocetta senza primarie non può forzare più di tanto. Dall’altra, cedendo ai centristi (D’Alia o Alfano) la regia delle operazioni, orlandiani, civici e sinistra più radicale andrebbero fuori.

Ecco ricomposta la premessa, irreversibile nella sua unicità, di un super candidato alla Grasso, che ha condannato la coalizione a un passo che non potrà mai compiersi, lasciandola in attesa nelle settimane in cui avrebbe forse dovuto presentarsi all’elettorato con una reattività maggiore di facce e proposte.

In questi giorni in Sicilia, Ettore Rosato, capogruppo del Pd alla Camera, ha fatto una breve ricognizione all’interno della sua AreaDEM, trovando sia Lupo che Barbagallo con le idee chiare sul da farsi.

L’area in questione rimane una delle postazioni ‘calde’ del Pd.

La figura del vice presidente dell’Ars Giuseppe Lupo, come candidato per Palazzo d’Orleans, resiste all’usura delle settimane, anche se non sfonda ottenendo la nomination.

È il punto di mezzo tra la discontinuità (non volle entrare in giunta con Crocetta), la parte più tradizionale del partito e l’area della coalizione che guarda con interesse a componenti laiche e sociali. Non ha subito stroncature particolari e beneficia di una visibilità in Sicilia che potrebbe premiarlo alla fine.

Se invece il derby tra i rettori di Palermo, il nuovo Micari e il vecchio Lagalla, è solo un’invenzione giornalistica, lo si scoprirà già nei prossimi giorni.

Le foto dell’avvicendamento tra i due dell’epoca stanno tornando utili, a testimonianza in ogni caso della difficoltà a reperire figure che siano individuabili dall’elettorato.

Una cosa è sicura Lagalla rimane in campo. Posizionato con abilità dall’area centrista che fa capo a Saverio Romano che non ha nessuna intenzione di andare con Musumeci e che attende di chiudere accordi.

 

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