“Oltre all’aspetto giuridico che ho affrontato dimostrando che non vi è alcuna prova della minaccia al governo da parte del generale Mori c’è una accusa morale, ancora più odiosa, che si addebita ai carabinieri: e cioè che l’avvio dei contatti Ros-Ciancimino abbia causato una accelerazione del progetto di attentato ai danni di Borsellino e dunque la sua morte“. Lo ha detto l’avvocato Basilio Milio, in avvio della sua arringa al processo d’appello sulla cosiddetta trattativa tra lo stato e mafia, giunto alle battute finali, che si celebra dianzi alla Corte d’Assise presieduta da Vittorio Pellino (Vittorio Anania giudice a latere).
“L’accelerazione – riprende Milio – non si è mai verificata. Al di là di una cadenza quasi bimestrale degli attentati – Lima, marzo ’92; Capaci, maggio ’92; via D’Amelio, luglio ’92 – vi sono elementi che portano a dire che strage via D’Amelio era in preparazione da mesi. Lo dice Gaspare Spatuzza, secondo cui l’esplosivo era già stato predisposto. E lo afferma anche il pentito Onorato“. L’unico che parla di “accelerazione” è stato Giovanni Brusca ma lo fa come “mera ipotesi”.
Ma, secondo la difesa Mori, “un buon movente per l’accelerazione dell’esecuzione dell’attentato di via D’Amelio è l’interessamento del giudice Borsellino per il rapporto mafia e appalti predisposto dal Ros e ritenuto fondamentale per le indagini su mafia-politica e imprenditoria“.
“Voi credete che Borsellino – ha detto il legale rivolgendosi alla Corte di Assise – volesse fare indagini che non dessero fastidio alla mafia? Lui parlava con tutti di ‘mafia e appalti’, collegando il rapporto con la strage di Capaci. E Perché la deposizione di Antonio Di Pietro, ritenuta superflua e non ammessa in primo grado, qui invece è stata ammessa? Perché vuol dire che questa, come altre, prove le avete ritenute fondamentali per la ricerca della verità anche a costo di fare emergere anche comportamenti poco chiari da parte di alcuni magistrati“.